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La Storia della Vostra Schiavitù

Ultimo Aggiornamento: 29/11/2011 18:19
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COLUI CHE NON É


L’origine dell’universo e della vita sul pianeta Terra è un’incognita di cui la scienza si occupa con l’obiettività del metodo scientifico, prospettando teorie plausibili, indipendentemente dalle credenze religiose.

Per quanto concerne le tre
fedi monoteistiche, queste asseriscono presunte verità apprese da supposte
“rivelazioni” trasmesse da Dio a profeti ed eletti.

Presuppongono quindi l’esistenza “ab aeterno” di un ente trascendente supremo, perfettissimo, necessario, causa prima, creatore dell’universo dal nulla.

L’esistenza di un essere divino, di una causalità misteriosa, che è possibile immaginare, ma non provare con metodiche scientifiche, è dunque un concetto pertinente alla religione, che lo desume dall’autorità della parola profetica e dalla fede supportata da ipotetiche illazioni.

Quelle “a priori”, indipendenti dall’esperienza, partono da principi assiomatici e pervengono a
conclusioni illusorie
mediante ragionamenti deduttivi.

L’idea che esista un’essenza divina, deducibile “a priori”, dimostra soltanto l’
astratta logica di un ragionamento
, non la concreta esistenza di un essere trascendente: l’idea metafisica non è la storia, che è conoscenza positiva.

Le argomentazioni “a posteriori” partono dalla conoscenza empirica, che si avvale di strumenti di indagine scientifica e sperimentale, per risalire con metodo induttivo a principi generali, che trascendono la realtà conoscibile.

Partendo dalla mutevolezza delle cose reali e supponendo che ogni cosa variabile di una determinata forma o specie deve trarre origine da un’essenza immutabile, di forma originaria e
specie prima
, si crede di poter risalire alla supposta conoscenza ed esistenza di un ente creatore d’ogni cosa di data forma e specie.

La forza del ragionamento, senza prove incontrovertibili, non può dimostrare la reale esistenza di una divinità e il suo coinvolgimento nelle vicende umane; né tantomeno può farlo la fede, ancorché essa susciti nel credente le ragioni necessarie a giustificarla.

L’obiezione, secondo cui non vi sono prove che convalidano l’inesistenza di Dio, è irrilevante, data l’indimostrabilità dell’inesistenza dell’inesistente.

Peraltro, l’onere della prova spetta a chi ne afferma l’esistenza.

Quanto alla supposta materia oscura, invisibile, essa non implica una probabile esistenza di un’essenza razionale trascendente. Inoltre, qualsiasi elucubrazione della mente, spacciata
apoditticamente per verità assoluta, ma che sia inverificabile e incontrollabile, non potrebbe mai essere smentita, confutata, falsificata.

La
“ratio”, allorquando trascende il limite empirico, vaga nell’arbitrio della mistificazione ideologica, artefice dell’invenzione di enti fittizi.
Dio, perciò, è un concetto che attiene alla realtà mentale e che afferma soltanto una verità concettuale.

Se è vero che l’essenza della natura consiste nell’assoluto casuale divenire (
principio d’indeterminazione), possiamo ritenere privo di fondamento il concetto di numinoso, quindi escludere l’ipotesi complessa di un’entità esterna creatrice ed il relativo finalismo provvidenziale.

In realtà, poiché l’universo non manifesta alcun finalismo né appare finalizzato all’esistenza della vita umana su un pianeta sperduto in una periferica galassia, è vano inferire l’esistenza di un essere trascendente, provvidenziale (“
pluralitas non est ponendo sine necessitate”, secondo il noto principio occamiano
).

La credenza nell’esistenza di una qualche sostanza divina, di un’ulteriorità determinata da una radicale differenza ontologica è piuttosto l’ipostasi di un concetto che l’uomo ha voluto idealizzare in un’entità trascendente, altra da sé, astratta, indefinibile, elevata alla somma potenza, alla massima differenza.

Da un concetto, però, non può desumersi un essere trascendente, che abbia un’esistenza indipendente dalla realtà oggettiva, della quale si presume che sia la
causa prima
, in quanto ciò implicherebbe un salto nel ragionamento logico: l’esistenza si mostra, non si dimostra.

Ne consegue che Dio (Deiwos = il luminoso, colui che è in cielo) è un insieme di sillabe, un soffio di voce
(“flatus vocis”), un costrutto immaginario elaborato dall’intelletto, con cui si designa un ente non immanente, bensì creduto esistente in una realtà trascendente.


La teologia
(“maxima scientia!”)
, in quanto pseudo-scienza che indaga intorno alla natura di un ente supremo, immaginario e irreale, perciò indefinibile, è un agglomerato di concetti astratti, un insieme di vuote parole adornate di retorica sacralità, che non ha alcun riscontro nella concreta realtà.

Questi “giochi” di pensiero, esprimenti concetti teorici avulsi dal concreto, sono funzionali al ceto sacerdotale, che fa della religione la sua ragion d’essere, assumendo come valore fondante una pretesa
“rivelazione”
, ossia la testimonianza d’uomini di parte, trascritta in un linguaggio ritenuto ispirato da Dio.

Atteso quindi che Dio è l’espressione di sentimenti umani, idealmente personificati in un’astratta entità sovrannaturale, ne consegue che Dio è un’
astrusità, un essere non esistente nella realtà cosmica, scaturito dalla mente immaginifica dell’uomo.


Dio, in quanto si risolve in una speranza, indotta dalla precaria esistenza, aliena l’uomo dalla concretezza del presente. La credenza nel concetto di Dio si pone come antidoto al nichilismo, all’angoscia dell’imprevedibile divenire, con la triste conseguenza di dare un senso mistificante della vita, che invece va realisticamente accettata, ancorché contrastata nei suoi effetti negativi.


L’
unitrino dio della fede cristiana, immortale, sempiterno, d’illimitate potenzialità, supremo legislatore morale, fautore d’ogni accadimento prodigioso lo si crede artefice di ogni evento salvifico, apparentemente inspiegabile secondo le attuali conoscenze scientifiche.

Dio può fare tutto quanto all’uomo è impossibile o proibito.


La sua infinita essenza non può essere compresa, stante la nostra limitata ragione.

In verità, la supposta esistenza della divinità non scaturisce dalla concreta conoscenza della stessa, ma dalla fede nella
“rivelazione” del Verbo: la presunta parola di Dio, trascritta direttamente (Corano) o su ispirazione divina  in sacri testi canonici (Vecchio e Nuovo Testamento).

L’esistenza di Dio, giacché non desumibile né con un procedimento dimostrativo irrefutabile né con verifiche concrete, è una credenza illusoria, costruita su una comprensione fideistica e su una “rivelazione” inattendibile, ancorché accreditata da dogmi e mistificazioni teologiche.



La speculazione teologica, non avendo solidezza di argomentazioni verificabili nella concretezza della realtà, s’avventura in congetture fideistiche, da cui desumere verità apodittiche.


Ne consegue che le verità costruite sulla fede di una presunta rivelazione divina non sono verità oggettive.

L’umanità non ha una comune esperienza della divinità, la realtà della quale non può essere percepita dai sensi né dedotta con metodi razionali inoppugnabili. Il mistero della divinità impressiona ed attrae.

La fede, sacrificando la ragione, trova alimento nella tradizione culturale mistica, emozionale, irrazionale (“credo quia absurdum”; “credo ut intelligam et intelligo ut credam”), fino allo scommettere sull’esistenza di Dio (Pascal), in quanto rappresenterebbe un minore rischio in rapporto alla scelta di non credere, data l’incommensurabilità della posta in gioco: l’eterna beatitudine
.

La fede si fortifica con il dogma indiscutibile dell’infallibilità dell’ispirazione divina e con l’incondizionata fiducia accordata all’autorità di Sacre Scritture.

L’inconoscibile e invisibile sostanza divina la si rappresenta con caratteri antropomorfi, giacché si crede che l’essere umano sia stato creato ad immagine e somiglianza di quella, ancorché differente al sommo grado.

La teologia negativa, per raggiungere una qualche comprensione di Dio, lo descrive negando le imperfezioni e le limitazioni umane.

Solo chi ha la pretesa del mistico asceta di beneficiare della divina ispirazione ed essere quindi recettivo delle cose rivelate da Dio, confida di avere una diretta conoscenza di lui.

In verità, la sua visione di Dio è una suggestione prodotta dalla spasmodica attività della psiche volta al misticismo, stimolata dalla mortificazione del corpo, tipica dell’ascetismo auto-punitivo, praticato come tecnica di salvezza.

Gli atleti di Dio, vocati all’austerità di vita e alla mortificazione del corpo, all’abiezione e dispregio delle cose umane, soffocano le esigenze della loro natura con sofferenze corporali
(flagellazione, cilicio, ecc.)
, astinenze e digiuni prolungati fino all’anoressia (Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Chiara d’Assisi ed altre).

Mal nutrendo il loro corpo, predispongono la mente al delirio, pregustando spirituali delizie paradisiache e presumendo di possedere conoscenze soprannaturali.

Folli di Dio, profetizzano divini segreti, carpiti durante mistiche estasi, in stato di temporanea alterazione psichica. L’auto mortificazione, in verità, come aveva sperimentato anche Buddha, non conduce alla perfezione.

La divina entità, dunque, essendo immaginata invisibile, indistinta, infinita, separata dal mondo, non può essere definita per mezzo del linguaggio dimostrativo di una verità oggettiva, verificabile.

Dio è un concetto appropriato al gioco linguistico della teologia e della speculazione metafisica, che indagano su ciò che non può essere direttamente conoscibile né essere oggetto di verifica.

Un ente fuori dal mondo, in verità, non può avere caratteristiche antropomorfiche né essere ad immagine e somiglianza degli uomini.

Altrettanto assurdo è immaginarlo in forme mascoline, pur concependolo puro spirito.

Del resto, la presenza dominante di una casta sacerdotale maschile non poteva rappresentarlo in forme femminine.

L’idealizzazione del sesso maschile, come metro di misura dell’essere umano (androcentrismo), ha giustificato la discriminazione della donna fino alla misoginia.


Poiché Dio trascende la nostra esperienza del mondo, non appare logicamente corretto dedurre la sua esistenza con l’argomento della
causa prima
(ponendo un termine iniziale, oltre il reale, al regresso infinito di derivazione di cose reali da un ente irreale), perché tale causa è supposta fuori del mondo conoscibile.

Se definiamo universo tutto ciò che ha esistenza, la causa di tale esistenza è al suo interno:
l’universo non ha una causa esterna
.

La trascendenza di Dio (e del suo regno celeste, che riflette il desiderio di un mondo ideale, perciò irreale)
è un’idea indimostrabile, elucubrata dall’ideologia di una casta sacerdotale
.

L’immane vacuità dei deliri teistici, in prosieguo dei progressi delle conoscenze scientifiche, finirà per dileguarsi con le sovraterrene inconsistenze dell’inebriante narcosi del sacro, generato da evanescenti nebulosità concettuali.

Se Dio è, non è cristiano né di altre fedi né vede e provvede né richiede salamelecchi.

Se è, è “colui che non è”.


Lucio Apulo Daunio
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