Che cosa è una religione?
Premessa:
Miliardi di persone credono di appartenere a religioni che in effetti non hanno mai scelto, che sono state loro imposte dalle loro società, fin dalla nascita, con condizionamenti subliminali e ritualismi finalizzati, che conoscono con superficialità distorta e banalizzata, mentre ignorano di essere vittime inconsapevoli del Caso e delle coordinate geografiche del luogo di appartenenza. Nonostante ciò, in modo eterodiretto, accettano sacrifici, si autoumiliano, combattono, odiano il diverso ed arrivano anche ad uccidere in nome di qualcosa che è loro caduto banalmente e casualmente sulla testa come la mela di Newton
Quando si dice religione si intende antropologicamente quel noto settario, in senso buono,spirito di gruppo che la storia ci ha fatto conoscere, mosso dal desiderio, spesso anche violento, di egemonizzare ed omologare a se stessi gli altri,
di “colonizzare” ideologicamente e comportamentalmente individui e popoli, che impone riti di iniziazione e condizionamenti psichici fin dalla più tenera età, che pretende obbedienza agli addetti ai lavori della casta sacerdotale e che troppo spesso perseguita il dissenso.
Insomma un movimento politico ed ideologico totalizzante e di potere.
A mio avviso, invece, l’etica collettiva e la morale individuale non provengono da queste organizzazioni finalizzate bensì dal profondo del cuore degli umani, dal vibrare dello spirito, dalla logica della condivisione e della reciprocità, dalla empatia dei sentimenti, e le vedo come traguardi laici, della nostra specie e del suo patrimonio filogenetico,senza la necessità di mediazioni, oltretutto così diverse ed incompatibili e ostili tra loro quali sono le religioni istituzionalizzate.
A questo punto vediamo come e perché le religioni, il plurale è d’obbligo, siano controproducenti nel percorso di automaturazione dell’etica e del messaggio morale.
Innanzitutto, che significato ha “l’appartenere” ad una religione che dopo tutto è soltanto una credenza ereditata dal corpo sociale in cui siamo nati e vissuti, da noi non scelta ma fondamentalmente impostaci fin dalla più tenera età.
Chiunque pensi di “credere” in una qualsiasi religione deve onestamente ammettere che egli deve quella religione, anzicchè una qualsiasi altra, soltanto al Caso, a sua totale insaputa.
Egli la deve soltanto al dato fortuito di dove e quando il Caso lo ha fatto nascere, a quali genitori, lingua, clima ambiente storico e geopolitica il Caso lo ha predestinato, proprio come se il suo cervello, come un robot, fosse inderogabile funzione matematica delle coordinate geografiche del suo luogo di nascita guarda caso,
chi nasce a Delhi è indù,
a Oslo è luterano,
a Tel Aviv ebreo,
cattolico in Italia e
scintoista in Giappone,
buddhista in Thailandia,
a Mosca ortodosso,
in Inghilterra anglicano e
calvinista in Scozia,
musulmano sunnita in Arabia,
sciita in Iran,
ismailita a Hunza in Pakistan e
sikh ad Amritsar
in Punjab, mormone
a Salt Lake City,
animista tra gli inuit e in tante foreste del mondo, e così via per valdesi, quaccheri, rastafariani, parsi, amish e quant’altro si può trovare nel grande emporio mondiale delle religioni contemporanee.
Assodato ciò, ed è vero, c’è da chiedersi: può mai una religione, ognuna delle tante, presentarsi come un “assoluto”, una presunta “verità” come esse amano vantarsi, o siamo piuttosto all’acme di quel relativismo religioso apprezzato dal Dalai Lama e tanto condannato da Ratzinger?
Io direi soltanto che siamo nel pieno dominio dell’antropologia, cioè di quella scienza che studia tutti gli aspetti della fenomenologia umana.
Paolo Bancale
[Modificato da ReteLibera 29/11/2011 17:47]