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RELIGIONE: L'esperimento scientifico, che taglia le gambe ai credenti

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2012 10:30
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Religione e morale indipendenti:

l’esperimento scientifico

Posted: 8 marzo 2009 in Scienza

 Spesso si sente dire che la morale è strettamente legata alla religione o meglio che la religione serve per un coportamento morale corretto. 

Molti rappresentanti religiosi e tutti i credenti sono convinti del fatto che la religione“aiuti” o “induca” a un comportamento morale e  senza di essa il mondo andrebbe in  degrado, vedrebbe un umanità in delirio dove tutti sarebbero autorizzati a fare ciò che si ritiene opportuno senza porsi dei limiti, addirittura, arrivando a far giustizia da se.

 

E’ prevedibile che questo modo di pensare entra in contrasto con il mio.

 

Se un uomo religioso (che naturalmente userò come sinonimo di credente) ritiene di sentirsi buono e avere comportamenti morali grazie a ciò che insegna la religione , cui appartiene, è evidente che si tratta di un’etica“forzata”  

Basandomi su un dibattito che ho avuto con una persona criastiana (cattolica);  essa ritiene che grazie al cristianesimo l’uomo è in grado di perdonare il suo prossimo e senza l’insegnamento di questa dottrina non sarebbe possibile un comportamento etico che porta al “perdono” del prossimo.

 

Questa è un esempio  di come la religione induca a un comportamento etico condizionato;  rispetto a un comportamento etico che  sarebbe stato naturale (in assenza di religione).

 

Questo vuol dire che se non fosse esistito, per esempio il cristianesimo, la persona sarebbe stata non capace di perdonare? Naturalemente non è cosi. 

 

Avvolte, ci si accorge, dal discorso di individui religiosi, che il rispetto  verso il prossimo è dettato da regole religiose, quindi, un impotetico individuo che sta compiendo un’ipotetica ”buona azione” lo fa esclusivamente  perchè lo impone la sua religione e non perchè prova realmente ciò che fa. 

E allora se si fa un azione benefica solo per compiacere il proprio dio e guadagnarsi una fetta di paradiso senza realmente provare amore verso il prossimo: che senso ha questo?

Sarebbe un’etica non fine a se stessa.

Ma so per certo che il senso morale in una persona è una cosa innata e che non abbia bisogno di nessuna regola religiosa per mantenersi sulla “retta via”; anzi la religione, come ho sostenuto prima, falsifica il vero “animo” umano condizionando l’etica naturale (innata) di una persona che si troverebbe, quindi, costretta a guidarla costantemente per il rispetto delle ”leggi” religiose. Ne risulta , quindi, un’etica soffocata e non libera di esprimersi

 

Basta porsi delle domande semplici; in assenza di religione: odiereste mai i vostri genitori? odiereste mai il vostro migliore amico/a ? Non aiutereste  il vostro prossimo? Non provereste amore e compassione per un essere umano sofferente? Uccidereste mai se non fosse nella vostra natura? (infatti gli assassini esistono con e senza religione) ecc.

D’altra parte basta osservare che essendo atei si da libero sfogo ai propri, buoni, sensi etici senza aver bisogno di regole.

Di seguito riporto un’esperimento, fatto dal bilogo Havard Marc Hauser, il quale dimostra, nel suo libro  Menti Morali – Le origini naturali del bene e del male (il Saggiatore – 2006), che un comportamento etico è una cosa innata (frutto della selezione naturale)  in ogni essere umano. La descrizione dell’esperimento che seguirà è stata trattata dal biologo Richard Dawkins, nel suo libro L’ illusione di Dio. Le ragioni per non credere (mondadori 2007) , di seguito riporto una parte del paragrafo (scritto da R.Dawkins) che ne descrive le procedure e i risultati.

 

Richard Dawkins in l’illusione di Dio. Le ragioni per  non ceredere (mondadori 2007):

 

“In Menti Morali – Le origini naturali del bene e del male (il Saggiatore – 2006) il biologo di Harvard Marc Hauser ha descritto una proficua serie di esperimenti proposti in origine da filosofi morali … viene posto un ipotetico dilemma etico e la difficoltà che abbiamo a risolverlo ci dice qualcosa sul nostro senso del bene e del male … attraverso questionari … conduce indagini statistiche ed esperimenti psicologici sul senso morale di persone in carne e ossa.

Dal punto di vista che ci interessa qui, il dato fondamentale è che quasi tutti prendono le stesse decisioni quando si trovano davanti ai dilemmi, e la convergenza è molto superiore alla capacità di spiegare il motivo delle decisioni.

E' proprio ciò che sarebbe lecito aspettarsi se il senso morale fosse inscritto nel cervello come la pulsione sessuale, la paura dell’altezza o, come preferisce dire Hauser, la capacità linguistica (i dettagli variano da cultura a cultura, ma la struttura profonda della grammatica è universale).

Come vedremo, il modo in cui la gente risponde ai quesiti morali e l’incapacità di spiegare le ragioni delle scelte sono in larga misura indipendenti dalla presenza o assenza di convinzioni religiose.

 

Per dirla con le sue stesse parole, il messaggio di Hauser è:

«Alla base dei nostri giudizi morali c’è una grammatica morale universale, una facoltà della mente che si è evoluta per milioni di anni e ha finito per produrre un insieme di principi utili a elaborare una gamma di possibili sistemi etici. Come nel caso del linguaggio, i principi alla base della nostra grammatica morale volano sotto il radar della consapevolezza».

I dilemmi morali posti da Hauser sono in genere variazioni sul tema del treno fuori controllo che minaccia di uccidere un certo numero di individui.

Nell’esempio più semplice, una persona, Denise, si trova vicino agli scambi e ha quindi la possibilità di dirottare il treno su un binario secondario e salvare così la vita a cinque persone intrappolate sulla linea principale. Purtroppo, però, c’è un uomo sul binario secondario. Siccome lui è uno solo e le persone intrappolate sulla linea principale sono cinque, quasi tutti giudicano moralmente ammissibile, anche se non doveroso, che Denise azioni lo scambio per salvare i cinque e condannare l’uomo solo. Non sappiamo se l’uomo sacrificabile sia per caso Beethoven o un nostro caro amico.

Nelle varianti che vengono via via proposte, i dilemmi morali si fanno sempre più spinosi. E se si fermasse il treno lanciandogli davanti un oggetto pesante da un ponte?

Ma sì, senz’altro: gettiamolo.

E se l’unico oggetto pesante disponibile fosse un uomo molto grasso che se ne sta lì seduto ad ammirare il tramonto?

Quasi tutti convengono che è immorale gettare il grassone giù dal ponte, anche se, tutto sommato, il dilemma parrebbe analogo a quello di Denise, che si trova a dover sacrificare una persona per salvarne cinque.

La maggior parte della gente ha la netta sensazione che vi sia una differenza sostanziale tra i due casi, anche se magari non sa spiegare bene il perché.

Quello del grassone ricorda un altro dilemma posto da Hauser.

In un ospedale stanno morendo cinque pazienti per una grave patologia di cinque distinti organi. Ognuno di loro verrebbe salvato se si trovasse un donatore per quell’organo, ma non ci sono donatori di sorta. Il chirurgo si accorge a un certo punto che in sala d’aspetto c’è un uomo sano, con i cinque organi del caso in perfette condizioni e adatti al trapianto.

Quasi nessuno risponde che è morale uccidere l’uomo per salvare i cinque. Come nel caso del grassone sul ponte, la gente intuisce che non si può assaltare un innocuo e ignaro passante e usarlo per il bene degli altri.


Com’è noto, fu Immanuel Kant a elaborare l’imperativo categorico secondo il quale un essere razionale non deve mai essere usato come mezzo per raggiungere un fine, nemmeno se il fine fosse di beneficio agli altri.


Questa è la differenza fondamentale tra il caso del grassone sul ponte (o dell’uomo nella sala d’aspetto dell’ospedale) e il caso dell’uomo sul binario secondario. Il grassone sul ponte verrebbe chiaramente usato come mezzo per fermare il treno impazzito, e si violerebbe l’imperativo kantiano. L’uomo sul binario secondario non verrebbe usato per salvare le cinque persone sulla linea principale; a essere usato è il binario alternativo e lui ha solo la sfortuna di trovarcisi sopra.


Come mai questa distinzione ci soddisfa?

Kant lo riteneva un assoluto morale.

Per Hauser, è un risultato dell’evoluzione.


Nel corso del libro, le situazioni ipotetiche riguardanti il treno fuori controllo diventano sempre più complicate e i dilemmi morali si fanno via via più tortuosi.

Tra gli altri, Hauser propone i casi di Ned e di Oscar.

Ned è accanto alle rotaie, ma, diversamente da Denise, che poteva dirottare il treno su un binario secondario, può azionare solo uno scambio con cui dirotterebbe il convoglio su un raccordo che si ricongiunge con il binario principale poco prima delle cinque persone: non serve azionare lo scambio, il treno investirebbe comunque le persone. Tuttavia, il caso vuole che sul raccordo ci sia un uomo estremamente grasso, pesante abbastanza per fermare il treno. Ned deve azionare lo scambio oppure no?

La maggior parte della gente risponde di no.

Ma qual è la differenza tra il dilemma di Ned e quello di Denise?

Con tutta probabilità, la gente applica in maniera intuitiva l’imperativo kantiano.

Denise impedisce al treno di investire cinque persone e la sfortunata vittima sul binario secondario è un «danno collaterale», per usare una graziosa espressione di Donaid Rumsfeld; Denise non usa l’uomo come mezzo per salvare gli altri.

Ned invece userebbe il grassone per fermare il treno e la maggior parte della gente (forse senza pensarci), insieme con Kant (che invece ci pensò moltissimo), la considera una differenza sostanziale.

La differenza è riproposta dal dilemma di Oscar.

Oscar si trova nella stessa situazione di Ned, solo che sul raccordo c’è un grande oggetto di ferro, talmente pesante che potrebbe fermare il treno. Oscar non dovrebbe quindi avere problemi ad azionare lo scambio e deviare il treno, solo che c’è un uomo che cammina davanti all’oggetto di ferro e quest’uomo, come il grassone di Ned, verrebbe sicuramente ucciso se Oscar azionasse lo scambio.

La differenza è che l’uomo sul binario non verrebbe «usato» per fermare il treno: sarebbe, come nel dilemma di Denise, un danno collaterale.

Come Hauser e come la maggior parte dei soggetti intervistati, sento che Oscar può azionare lo scambio, ma non Ned.

Trovo però molto difficile giustificare la mia intuizione.


Hauser dimostra che queste intuizioni morali spesso non passano al vaglio della riflessione, ma sono fortemente sentite a causa del nostro retaggio evolutivo.

Durante un’affascinante incursione nell’antropologia, Hauser e i suoi colleghi hanno adattato gli esperimenti morali agli indios Cuna, una piccola tribù dell’America centrale che non ha una religione formale e non ha quasi nessun contatto con gli occidentali.

Hanno sostituito il treno con un equivalente locale – un coccodrillo che si avvicina alle canoe – e proposto gli stessi dilemmi. Con piccole differenze dovute al contesto diverso, i Cuna hanno espresso gli stessi giudizi morali di noialtri occidentali.

Di particolare interesse per il presente saggio è che Hauser si è anche domandato se i credenti differiscono dagli atei nelle loro intuizioni morali.

Se traessimo la morale dalla religione, dovrebbe esserci differenza.
Ma a quanto pare non c’è
.

In un’indagine condotta con il filosofo morale Peter Singer, Hauser ha proposto tre ipotetici dilemmi e confrontato i verdetti degli atei con quelli dei credenti.

I soggetti dovevano decidere se un’azione ipotetica era moralmente «doverosa», «ammissibile» o «proibita».

1. Il dilemma di Denise. Il 90% delle persone ha detto che era ammissibile deviare il treno, uccidendo una persona per salvarne cinque.

2. Un bambino sta annegando in uno stagno e non c’è in vista nessuno che possa salvarlo. Noi possiamo farlo, ma ci rovineremmo i pantaloni. Il 97% ha convenuto che si debba salvare il bambino (strano a dirsi, il 3% preferisce salvare i pantaloni).

3. Il dilemma degli organi da espiantare. Il 97% dei soggetti ha convenuto che non si poteva prendere di forza un individuo sano in sala d’aspetto e ucciderlo per prelevargli gli organi e salvare i cinque malati.

 

Il risultato principale dello studio di Hauser e Singer è che 

non c’è differenza statisticamente rilevante tra atei e credenti nell’elaborazione dei giudizi.


Ed è coerente con l’idea, condivisa da me e da molti altri, che non c’è bisogno di Dio per essere buoni… o cattivi.”

 

per concludere; dirò un’ultima cosa:

pensare che un comportamento morale corretto sia naturale dovrebbe essere una cosa logica; infatti, se cosi non fosse stato, ciè se la selezione naturale non avesse favorito quei geni che hanno  giocato ( giocano) un ruolo importante nello sviluppo di un’etica, ci saremmo costantemente uccisi gli uni con gli altri (fin dall’inizio) portando all’autodistruzione della specie Homo sapiens  in men che non si dica.

Quindi il favorire i geni di un’etica corretta è stata una tappa obbligatoria e involontaria, dimostrandosi vantagiosa,dettata dalla selezione naturale arrivando al  risultato che vediamo oggi.

 

Qualcuno potrebbe contrabattere dicendo; e allora le guerre?

 

Non a caso sono causate da ideologie religiose e interessi economici; riflettendo però si nota che all’interno di un un ipotetico gruppo 1 [cattolici] di individui, che dichiara guerra ad un altro “gruppo 2 [musulmani]″ vige  all’interno di ciascun gruppo un comportamento etico capace di non  danneggiare gli individui e l’unità stessa del gruppo (i militari dell’esercito ["ateo"] di una stessa nazione non si sparerebbero l’un l’altro ma si soccorrerebbero). 

Riassumendo, penso, che la guerra non sia un fenomeno che rientri strettamente con il concetto di etica in generale ma è frutto di contrasti sociali di natura diversa; che analizzati sotto l’ottica dell’etica generale risulta essere un comportamento immorale. Infatti, se per esempio, due individui uscissero ciascuno dal gruppo 1 e 2  smettendo di fare la guerra darebbero un giudizio morale che non risulterebbe in contrasto tra le due parti; convenendo che la guerra è un fenomeno immorale e irrazionale.

spero di aver esposto in modo chiaro il mio concetto.

 

 

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