Il Papa, celebrando la messa di Natale davanti a 10 mila persone, ha affermato che Dio è dove regna giustizia e pace.

Non s’è reso conto, l’adorabile vecchietto, di aver negato, con quella frase, l’esistenza di Dio: almeno per quanto riguarda il nostro travagliato pianeta.

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Sia giustizia che pace, ammesso che si siano mai affacciate su questa “palla galleggiante nel vuoto”, sono ampiamente irreperibili e non si rinvengono casi, neppure a livello storico, nei quali esse abbiano dato prova della loro presenza tra gli umani.

Società fondate su tali presupposti non si sono mai palesate, anzi ingiustizia e guerre mostrano ogni giorno come siano queste le forze che dominano questa nostra terra.

La Chiesa che, con i suoi ipocriti messaggi periodici, tenta di identificarsi con l’arbitro di ogni valore umano e sociale, della fratellanza e della concordia tra le genti è stata, fin da poco dopo le sue origini, fonte di discordie, ingiustizie, oppressioni, prevaricazioni, guerre e dolori.

Sparsi a piene mani: quelle di chierici, vescovi e papi. Genìa immorale e corrotta, come la storia ben ci ricorda.

Perché in verità, la storia del Cristianesimo e quella della Chiesa hanno ben poco in comune.

Tra il messaggio di Gesù e la sua trasformazione, per mano di Saulo di Tarso, ci corre
un’incommensurabile distanza che separa, senza possibilità di incontro, le due diverse posizioni: l’una pura ed sublimemente ideale, l’altra impura e volgarmente pragmatica.



Il povero figlio dell’uomo non aveva nulla su cui poggiare il capo e i suoi discepoli dovevano proclamare il vangelo senza denaro in borsa. Secondo Marco, Gesù concesse loro solo un bastone da viandante e dei sandali. Secondo Matteo e Luca proibì anche il bastone e le calzature. Eppure nel V secolo i papi erano i più grandi latifondisti dell’Impero Romano.

Questa evoluzione possiede una qualche  giustificazione legittima? (Deschner – Il gallo cantò ancora, pag.353) Se c’è, bisogna che ce ne diano atto.

Nella Bibbia Gesù vive in assoluta povertà: si presenta povero in mezzo ai poveri, amico dei paria e dei diseredati, dei pubblicani e dei peccatori. Infermi, storpi, mutilati si raccolgono intorno a lui, debitori di ogni risma lo vanno a trovare ed egli siede insieme a loro ad una stessa tavola, cosa che per tutti gli ebrei del tempo significava comunità di vita.

Per questo motivo i Farisei si scandalizzavano: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. (Luca 15,2)


Gesù nel Magnificat profetizza la fondazione di un’epoca in cui Dio “Abbatte i potenti dai loro troni e innalza i poveri, sazia gli affamati con i beni e lascia andar via a mani vuote i ricchi”.

Forse il Cristianesimo originario si presentava come una continuazione della lotta di classe del mondo antico, al punto tale che i comunisti nordamericani degli anni Trenta lo chiamavano volentieri “compagno Gesù” e, pur se le sue parole non contengono chiare indicazioni economiche (e come potrebbe essere?), da esse risultano conseguenze sociali da non trascurare, un capovolgimento di tutti i valori, una rivoluzione di tutti i rapporti umani.

Ogni comunità che si riferisse a Gesù si sarebbe dovuta adeguare, nel proprio comportamento economico, al comandamento dell’amore del prossimo e si sarebbe dovuta trasformare immediatamente in una organizzazione comunistica, grazie ad un comandamento che uno dei più nobili cristiani dell’antichità, il Dottore della Chiesa Basilio, commenta con la frase: “Chi ama il prossimo come sé stesso, non possiede nulla più del prossimo”.

La rinuncia ad ogni possesso è dovere incondizionato della fede protocristiana.

In effetti, nella comunità primitiva vi è una forte spinta verso il comunismo o, meglio ancora, verso un comunismo della religione dell’amore.

È ancora il Dottore della Chiesa Basilio che definisce i cristiani che considerano qualsiasi cosa come una loro proprietà, non solo ladri, ma briganti e mette sullo stesso piano degli assassini tutti coloro che per egoismo non soccorrono alla miseria o soltanto rimandano nel tempo il loro aiuto.

Il vescovo Basilio poteva davvero permettersi un linguaggio simile. Discendente da una delle più ricche famiglie della Cappadocia, aveva da subito donato l’intero patrimonio ai poveri e, quando entrò in possesso delle proprietà della madre, che erano talmente estese che doveva pagare tasse a tre principi diversi, regalò anche quelle.

Come vescovo visse in modo assolutamente sobrio. Partendo dalla massima: “Se vuoi essere perfetto, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri”, esortava alla vita perfecta, alla donazione dell’intera proprietà. Quando s’accorse che i più non adempivano la sua indicazione di vita, pretese almeno la donazione della metà dei possedimenti.

Il primo allarmante compromesso!

Si comportò in maniera analoga, esortato da Basilio, anche il fratello Gregorio di Nissa, che però si limitò a distribuire ai poveri un terzo o un quinto delle sue ricchezze.

Ulteriore cedimento!

Ma il Dottore della Chiesa Giovanni Crisostomo, ripropone la forma primitiva affermando che “opera un piccolo sacrificio colui che non doni l’intera sua proprietà”, aggiungendo poi, quasi da leader di una sinistra radicale. che: “Senza ingiustizia non si può diventare ricchi, è impossibile, è davvero impossibile essere ricchi nell’onestà”.

Ma, questa cellula originaria del Cristianesimo, caratterizzata essenzialmente da una concezione comunistica fondata sull’amore, fece nascere la più gigantesca macchina di sfruttamento che il mondo abbia mai visto.

paolo9.jpgÈ Paolo, il santo, l’uomo folgorato sulla via di Damasco, che opererà la svolta e che annullerà, tutte le parole dure che ricorrevano in Gesù, contro la ricchezza.

Da un lato Paolo definisce la cupidigia equivalente all’idolatria e motivo per l’esclusione dal regno di Dio.

Dall’altro, invece, non vorrebbe che l’amore fraterno dei cristiani si spingesse fino al punto da precipitare nel bisogno colui che elargisce i propri beni. Ognuno dovrà dare in proporzione al proprio patrimonio.

Qui comincia il compromesso, rispetto
all’insegnamento
di Gesù che recitava: “Vendete il vostro patrimonio e datelo in elemosina. Nessuno di voi può essere mio discepolo se non si libera di tutto ciò che possiede”.

Paolo, però, la pensa in modo del tutto diverso da Gesù in fatto di proprietà e di ricchezza. Mai condanna il possesso, ma lo giudica positivamente.

In contrasto con Gesù, consente ai diffusori del Vangelo l’accettazione di denaro.


D’ora in poi si dovrà notare, sempre di più, non la solidarietà con gli oppressi, ma l’istituzione di buoni rapporti con gli oppressori: il patto coi potenti, col denaro, con le persone influenti, coi possessori di beni.

Già all’inizio del II secolo i cristiani cominciavano a predicare: “Lascia che la tua elemosina si scaldi nelle tue mani finché non hai saputo a chi la dai”.

Clemente Alessandrino promette il paradiso anche ai capitalisti e ammonisce i poveri che si sollevano contro di loro e insegna che l’umanità non potrebbe esistere, se non ci fosse qualcuno in possesso di qualcosa.

Nel IV secolo Gregorio Nazianzeno concepisce la ricchezza come benedizione di Dio per gli uomini pii. Promette ai poveri comunque, i posti più alti nel Regno dei Cieli, non impieghi in questa piccola insignificante realtà contingente.

Si rendono conto, insomma, che l’accordo coi ricchi rende ricca anche la Chiesa.

Si sa poco dell’origine e dell’accrescimento dei possedimenti ecclesiastici. Fino al V secolo gli autori cristiani tacciono quasi completamente su questo processo, non tanto agevolmente conciliabile con l’ideale evangelico della povertà.

La pioggia di denaro, di concessioni, di privilegi ed immunità iniziò con Costantino. I suoi successori fecero altre donazioni e concessioni e si appropriarono di tutte le proprietà ecclesiastiche degli eretici.

Il patrimonio andò via via ingrossando la
sua ricchezza, tanto più che si impose l’uso di eleggere vescovi coloro che provenivano dalle famiglie più ricche. Anche molti laici legavano alla Chiesa i loro capitali, giacché questo costituiva la garanzia più sicura per il raggiungimento della salute eterna dell’anima.

Dal 475 la comunità romana dava un quarto di tutte le entrate ecclesiastiche al vescovo, un quarto toccava al clero, un quarto veniva impiegato per la manutenzione degli edifici ecclesiastici e un quarto doveva andare ai poveri.

Tuttavia capitava che per anni un papa consumasse da solo tutte le quattro parti.

Gradualmente andò costituendosi un colossale latifondo, definito Patrimonium S. Petri. I vescovi romani possedevano enormi proprietà non soltanto in Italia, ma anche in Sicilia, in Corsica, in Sardegna, in Dalmazia e in Africa.

Dal V secolo in poi il vescovo di Roma è il più ricco proprietario terriero dell’impero romano.

E quando la Chiesa divenne sempre più ricca, anch’essa prese partito a favore dei ricchi, rompendo, con sempre maggiore determinazione, mediante compromessi e relativizzazioni, con il radicalismo di Gesù. Abbandonò le tradizioni sociali del Cristianesimo primitivo, che stridevano fortemente con il loro nuovo stile di vita, e accolse in ogni parte il sistema economico vigente.
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Ci si affretto anche a fornire un’origine un po’ più nobile allo Stato della Chiesa, appena nato da due guerre sanguinose, e venne creato il falso della cosiddetta Donatio Constantini, un famigerato documento che gabellava lo Stato della Chiesa come un dono del primo imperatore cristiano che ebbe un ruolo straordinario nella lotta dei papi contro gli imperatori.

L’umanista Lorenzo Valla mise definitivamente a nudo la falsità del documento in un’opera del 1440, ma la storiografia cattolico-romana ne ammise la falsificazione solo dopo il XIX secolo. Quando nulla avrebbe potuto cambiare le sorti di un potere immenso ed inalienabile.

Gregorio VII, alla fine dell’XI secolo, decretò che solo il papa poteva ratificare o contestare, concedere o levare imperi e regni, nonché le proprietà di tutti gli uomini in generale. E con questo l’argomento avrebbe potuto considerarsi definitivamente chiuso!

Cosa rimaneva, a questo punto, delle concezioni primitive del Cristianesimo?

Nulla. Assolutamente nulla.


Quando nella fase primitiva di esso, si costituiva un patrimonio ecclesiastico, esso veniva considerato, in primo luogo, patrimonio dei poveri ed era giustificato solo in quanto tale. Il Dottore della Chiesa Giovanni Crisostomo definì l’assistenza ai poveri più importante e degna della costruzione delle case del Signore.

L’atteggiamento della maggior parte dei Padri della Chiesa, fino alla fine del V secolo, è, sotto tale aspetto, così univoco e radicale che anche da parte cattolica si parla di “una concezione patristica talvolta assai vicina al Comunismo” (Schaub, 32).

Quel comunismo e socialismo che Pio IX definirà come “pestilenze corruttrici”.

Sempre lo stesso papa che, in un enciclica del 1939, scriverà: “Dio, che nella sua immensa bontà provvede a tutto, ha stabilito che per l’esercizio della virtù e per la prova dei meriti umani nel mondo devono esserci i ricchi e i poveri”.

Anche Pio XII, ricchissimo e potentissimo papa, estimatore, amico e protettore di fascisti e nazisti, scorge nel contrasto tra ricchi e poveri nient’altro che una sorta di “armonia naturale”.

Questa armonia naturale fece sì che, all’inizio del XX secolo, il capitale pontificio fosse all’incirca sei volte più grande del più consistente patrimonio tedesco del tempo; quello dei Krupp.

Nel mondo cristiano la Chiesa cattolica detiene ancora oggi il più grande patrimonio fondiario della Terra.

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Ma come spiegarsi che ad una Chiesa sfrontatamente ed immensamente ricca corrisponda, dove essa impera e domina, un’umanità ai livelli massimi di disperazione. Come il Sudamerica, ad esempio, dove la maggior parte della popolazione è analfabeta, senza tetto e denutrita.

Com’è possibile, si chiede qualcuno, che in un continente tanto ricco di risorse naturali, in cui il cattolicesimo domina da secoli, esista un tale livello di ingiustizia?


Forse la Chiesa ha ritenuto che, mentre accumulava un enorme patrimonio economico, affamando le popolazioni indigene, sostenendo i governi corrotti, partecipando, col suo silenzio, ai genocidi; mentre aumentava il suo “immenso potere contrattuale” per intromettersi costantemente, condizionandole, nelle vicende del mondo; mentre aumentava a dismisura la corruzione all’interno di sé stessa, le fosse sufficiente organizzare processioni, elargire battesimi e costruire chiese per assolvere la missione affidata ai discepoli da quel tale Gesù, cristiano delle origini, che teorizzava tali assurdità, così poco attuali e così poco praticabili nel mondo reale.

Un mondo “reale” che, se si presenta con l’immagine devastata di ingiustizia sociale che gli possiamo attribuire, lo deve in grandissima misura alla Chiesa cattolica.