“Non è solo una questione di privacy ma bensì di  sicurezza. È necessario che Joseph Ratzinger rimanga in Vaticano, in caso contrario la sua posizione non sarebbe difendibile.”

Lo stesso Benedetto XVI aveva fatto sapere che dopo il 28 febbraio si sarebbe ritirato nell’isolamento, lontano dallo sguardo del pubblico, una volta date le dimissioni da Pontefice. L’Ansa, il 14 febbraio, a seguito delle annunciate dimissioni , aveva riferito le parole del pontefice  “Anche se mi ritiro in preghiera, sarò sempre vicino a tutti voi e so che voi sarete vicini a me, anche se per il mondo rimango nascosto”.

Queste stesse parole del Papa sono state poi ripetute in alcune dichiarazioni dallo stesso rese durante un incontro con i sacerdoti romani, in qualità di vescovo della città di Roma. E certo il papa quando pronuncia una frase sa sempre cosa dice e soprattutto perché ed all’indirizzo di chi la profferisce.

Il nascondimento intra moenia del papa, per usare le stesse parole del pontefice,  vedrà, dopo il 28 febbraio,  Ratzinger  mantenere la cittadinanza vaticana e l’immunità di ex Capo di Stato. In base ai Patti del 1929 potrà quindi circolare solo nel nostro Paese (forse, ci sentiamo di aggiungere). Questa la voce che circola insistentemente nelle sacre mura mentre fervono i preparativi per accogliere i cardinali per l’accelerato conclave.

Ma perché mai, ci siamo chiesti,  è così importante questa esternazione sulla  decisione di consegna vaticana del papa, quasi al limite degli arresti domiciliari?

Ora è d’obbligo una premessa. Benedetto XVI non è certo un papa qualunque, specialmente sul lato del diritto canonico e della dottrina. È un grande studioso, tanto da essere a capo della congregazione della dottrina della fede sin dal 1988 alla sua elezione al soglio pontificio. Lui è uno dei più grandi conoscitori della fede cristiana. A Ratzinger quindi non poteva, e non può, essere sfuggita l’ampiezza e la gravità  della portata del suo gesto.

Infatti secondo la cristianità, quando si chiudono le porte del conclave, lo Spirito Santo in persona cala sul conclave per guidare le scelte dei cardinali.

In angelologia, addirittura, risulta che c’e’ perfino un angelo dedicato alla procedura.

Dunque, in un dato senso, il capo della chiesa viene scelto per volere divino.

Sovvertire la decisione divina attraverso il Gran Rifiuto significa, certamente, porsi sopra o contro la volontà dello stesso Onnipotente, il che non è una dimostrazione di umiltà o di responsabilità che dovrebbe contraddistinguere un papa, ma semmai un peccato che, per dirla in parole povere,  manda dritto all’inferno.

Dunque, per compiere una scelta di tale gravità, Benedetto XVI deve avere avuto motivi gravissimi.  A tal punto fuori discussione la salute,  che è chiaramente una scusa per quelli di bocca buona, le altre ragioni dell’abbandono del Soglio di Pietro possono essere state solo ricatto e paura. Il ricatto intuiamo da dove potrebbe provenire ( vedi i contenuti della Relazionem su Vatileaks di cui abbiamo scritto …)

Ma la paura di Ratzinger XVI da dove origina ? e perché e di che ?

La risposta non si è fatta attendere e per dire la verità era già nell’aria da un po’ di tempo, ed ecco svelato l’arcano.

 

La decisione di Joseph Ratzinger, di vivere in Vaticano dopo essersi dimesso da papa, secondo queste voci autorevoli, gli assicurerà la protezione legale necessaria a rimanere al riparo da ogni tentativo di procedimento giudiziario in relazione ai casi di pedofilia clericale verificatisi nel mondo sia durante il suo pontificato sia mentre – da Cardinale – era alla guida della Congregazione per la dottrina della fede. Ora effettivamente  e codici alla mano, fuori dalle Mura Vaticane l’ex papa non godrebbe dell’immunità diplomatica.

Qualcuno a questo punto si chiederà; ma siamo impazziti?. No, non siamo impazziti, semplicemente la drammaticità dei fatti storici che stiamo vivendo supera anche la fantasia dello scrittore Dan Brown. La questione di quanto sta accadendo?, il problema?, il peccato? , il crimine?: la protezione ad oltranza operata in questi anni dal Vaticano verso i pedofili nella Chiesa.

Ma perché si è arrivati a tutto questo? Il motivo viene da lontano  e originano da due denunce,  particolarmente delicate, che  riguarderebbero in prima persona il papa e riguardanti fatti e circostanze purtroppo vere e reali.



Ma andiamo ai fatti. Nel settembre del 2011 ( lo stesso periodo delle confidenze nella missione a Pechino da parte del cardinale Romeo circa le dimissioni del papa),  un voluminoso  dossier è stato presentato alla Corte penale internazionale de l’Aja dall’associazione di vittime statunitense Snap (Survivors network of those abused by priests – www.snapnetwork.org/ ) e dalla Ong americana Center for constitutional rights (http://ccrjustice.org/ICCVaticanProsecution). Come intuibile la cosa ha di fatto determinato sconcerto e preoccupazione tra i vertici del Vaticano.

Destinatari dell’accusa,  per  crimini contro l’umanità per essersi macchiati della colpa di aver coperto i reati di pedofilia,  lo stesso Vaticano e i suoi vertici: papa Benedetto XVI, quale rappresentante legale e il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, oltre il suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano, e l’allora prefetto della Congregazione della dottrina della fede, cardinale William Levada.

Le vittime, sono assistite dagli avvocati dall’Ong, responsabili di Snap  che presentarono una «richiesta di dichiarazione di competenza giurisdizionale» presso la Corte.


Barbara Blaine

L’associazione delle vittime è stata fondata a Chicago nel 1988 da Barbara Blaine (e che oggi conta migliaia di interventi di sostegno alle vittime in tutti gli Stati Uniti). La Blaine spiega come il Vaticano, quale stato monarchico rappresentato dalle sue gerarchie,  «ha tollerato e reso possibile la copertura sistematica e largamente diffusa di stupri e crimini “sessuali” contro i bambini in tutto il mondo». 

«L’ammissione di responsabilità da parte delle autorità ecclesiastiche che pure c’è stata in questi anni è stata troppo tiepida e soprattutto è avvenuta troppo in ritardo», racconta a Cronache Laiche, Mary Caplan, responsabile Snap per l’area di New York. «Sono state pronunciate spesso parole vuote – aggiunge – a cui non sono seguiti mai fatti concreti. Mentre un fatto è che nel 2005 Benedetto XVI ha invocato l’immunità di Capo di Stato per evitare di comparire in un processo in Texas.

Noi pensiamo che se il papa, (quale Capo di Stati e rappresentante legale del Vaticano),  in tutta onestà si sentisse innocente, avrebbe colto l’opportunità di presentarsi in tribunale a difendere il proprio operato. Invece, il fatto che lui e i suoi avvocati siano disposti a sfruttare scappatoie legali anziché affrontare direttamente le accuse contro, la dice lunga sulla complicità in questi terribili crimini».

Alle denunce, sempre secondo quanto riferito dalla Blaine (si badi che non è dato sapere se le denunce, sul tavolo dei giudici de L’Aja, sono in attesa di un riscontro procedurale ovvero di una archiviazione) è stata allegata una voluminosa documentazione con l’esposizione dei numerosi casi di pedofilia clericale in tutto il mondo.

Le parole della Caplan rimandano direttamente a un’altra situazione critica, probabilmente quella in cui Ratzinger rischia di più in prima persona e non tanto nella qualità. Nel 2001, quando Ratzinger era ancora alla guida dell’ex Inquisizione, il futuro papa Benedetto XVI è stato imputato in una causa civile in qualità di firmatario del De delicti gravioribus , un’epistola indirizzata (il 18 maggio 2001) ai vescovi di tutto il mondo per informarli sulle procedure da adottare nei casi di violenza “sessuale”, anche su minori, compiuta da persone appartenenti al clero cattolico.

In quella lettera, che dava esecuzione a un Motu proprio di Giovanni Paolo II, Ratzinger ribadiva il vincolo del segreto pontificio da mantenere durante tutta la procedura investigativa e processuale stabilito nel 1962 dal Crimen sollicitationis, pena la scomunica.

Divenuto capo di Stato nell’aprile del 2005, conscio della rischiosa situazione, tramite il ministero degli esteri vaticano,  Benedetto XVI ha immediatamente avanzato richiesta formale d’immunità al presidente degli Stati Uniti, George Bush.

Nel settembre 2005, il vice ministro della Giustizia, Peter Keisler ha bloccato la procedura giudiziaria facendo ricorso alla cosiddetta suggestion of immunity, una misura che, via Corte Suprema, deve necessariamente essere recepita dai tribunali di grado inferiore. In quella occasione il vice ministro Usa sottolineò che l’avvio di un procedimento giudiziario nei confronti della Santa Sede sarebbe stato incompatibile con gli interessi della politica estera statunitense.

In questi ultimi  otto anni molte cose sono cambiate, non solo all’interno della Chiesa d’oltreoceano (che nel frattempo ha visto dichiarare bancarotta undici diocesi, in seguito ai risarcimenti extragiudiziali o giudiziali nei casi di pedofilia). Anche alla Casa Bianca siede un altro inquilino, il Presidente Barack Obama, di recente rinnovato per un secondo mandato.

Dopo il 28 febbraio 2013 Joseph Ratzinger , quindi , continuerà a vivere all’interno del Vaticano per continuare a godere dell’immunità diplomatica ed evitare eventuali inaudite azioni restrittive.

La gendarmeria, che già conosce il papa e le sue abitudini, sarà in grado di garantirgli privacy e sicurezza senza doverle affidare a forze dell’ordine straniere, la qual cosa sarebbe necessaria in caso di un suo trasferimento in un altro Paese.  D’altronde comprendiamo che sarebbe un grosso problema di sicurezza se Benedetto XVI si trasferisse in qualsiasi altro luogo.

Dopo essersi dimesso, non sarà più il capo supremo dello Stato Città del Vaticano, ma conserverà comunque  sia la cittadinanza che la residenza. Ciò continuerà ad assicurargli l’immunità, in base alle norme dei Patti Lateranensi, anche se si recasse per brevi visite nel nostro Paese.

 

Intanto l’ombra dello scandalo-pedofilia pesa gravemente sul conclave e mentre si attende l’inizio dell’elezione del nuovo Papa, altri cardinali sono finiti al centro delle polemiche,  Roger Mahony, non è la sola presenza sgradita ( che malgrado ciò , in questi giorni, sfidando l’ira dei fedeli,  si è regolarmente presentato in Vaticano per fare parte del conclave) , ecco chi sono gli altri. ”Stay home, Mahony!” è il messaggio della petizione lanciato dall’associazione “Catholics United” che con quel “Resta a casa” esprime dissenso sulla partecipazione alla votazione del conclave.

Il cardinale Mahony guidò l’arcidiocesi di Los Angeles dal 1985 al 2011 ed è stato accusato di aver messo a tacere le denunce per pedofilia a carico di alcuni prelati: ben 129. È stato destituito dalla Chiesa Cattolica americana. E Catholics United si chiede: “Perché se un cardinale viene privato del suo ruolo pubblico nella diocesi dovrebbe essere premiato con la possibilità di votare il prossimo Santo Padre?” e ancora “Il cardinal Mahony aggraverebbe ulteriormente lo scandalo e la vergogna per la nostra Chiesa, qualora partecipasse al conclave”.

Ma Mahony però non è il solo a dover convivere con questo peso sulle spalle durante il conclave.  Intanto  non sembra preoccuparsi:  e affida i suoi pensieri a Twitter per chiedere ai fedeli di “pregare affinché possiamo eleggere il miglior Papa per la Chiesa di oggi e di domani’. Nessun accenno alle critiche sollevate dagli Stati Uniti come in Italia dai molti cattolici che lo vorrebbero fuori dai giochi.

Ma un’altra notizia prende campo per cui Papa Benedetto XVI, prima del 28 febbraio,  potrebbe modificare le regole che governano il prossimo conclave con il quale i cardinali a marzo eleggeranno il nuovo Pontefice. Lo ha annunciato proprio oggi il Vaticano.

Papa Ratzinger stava infatti , in queste ore,  studiando la possibilità di apportare cambiamenti alla legislazione stabilita dal predecessore Giovanni Paolo II prima che abdicasse, ha detto il portavoce padre Federico Lombardi. Le modifiche potrebbe riguardare la tempistica d’inizio del conclave. Le regole attuali prevedono che la riunione cominci attorno al 15 marzo (15 giorni dopo l’inizio della sede vacante), ma ci sono indicazioni secondo le quali l’inizio potrebbe essere anticipato, se le regole cambiassero.

La tempistica attuale prevede anche le celebrazioni del funerale del precedente pontefice fra inizio della sede vacante e inizio del conclave, cosa che in questo caso non ci sarà. Ovviamente non c’è una ‘agenda’ prefissata del Conclave, e saranno i cardinali, coordinati dal decano Angelo Sodano, a decidere quali temi trattare. E i temi sono tanti anche se non riguardano ufficialmente i mali della Chiesa come la pedofilia.  È però prevedibile che, al riparo da occhi indiscreti, il collegio cardinalizio affronti problemi emersi nel corso del pontificato di Benedetto XVI, che l’annuncio delle dimissioni non hanno archiviato, anzi.

Ora non possiamo però tacere come Benedetto XVI,  negli ultimi otto anni dal 2005, forse perché tirato per la giacchetta e pesantemente coinvolto dalle vicende americane sulla pedofilia, ha preso estremamente sul serio la questione. Ha dato un ‘giro di vite alle norme canoniche, ha scritto una lettera ai cattolici irlandesi, ha incontrato diversi gruppi di vittime, ha fatto dimettere numerosi vescovi, ha invitato gli episcopati a collaborare con la giustizia civile. Già da cardinale, aveva provato ad indagare – tra molte resistenze di altri ambienti della Curia Wojtyliana – sul fondatore dei Legionari di Cristo, quel Marcial Maciel costretto a ritirarsi a vita di penitenza fino alla morte.

La linea dura di Ratzinger ha suscitato plauso di alcuni, critiche di altri.  Prima Christoph Schoenborn, ratzingheriano, contro il cardinale decano Angelo Sodano, ex segretario di Stato di Giovanni Paolo II.

Ora lo scontro tra il vescovo di Los Angeles José Gomez (Opus dei), nominato da Ratzinger, e il suo predecessore Mahony , il cardinale coinvolto nello scandalo della petizione contro la sua partecipazione al conclave. E in Conclave il tema potrebbe pesare. Lanciando ai vertici del Vaticano dei campioni della lotta alla pedofilia come lo stesso Schoenborn o come il cardinale di Boston Sean O’Malley, ovvero sbarrando la strada a porporati ignavi come Mahony,  e tra gli altri, l’irlandese Sean Brady, il belga Goodfried Daannels, il messicano Rivera Carrera, trasversali ideologicamente e geograficamente in una tragica sottovalutazione della piega della pedofilia nella Chiesa  che ha accomunato molti tra loro.

In verità eravamo stati abituati a cardinali e papi che portavano la loro missione pastorale fino in fondo , trascurando fatti materiali ed umani , dalla malattia ai compleanni.

Ma il mondo è chiaramente cambiato! Sembrerebbe che ora la Chiesa ha rimesso al centro della missione l’uomo e non la volontà di Dio.

Tempi bui per la Chiesa e per i suoi fedeli.

 
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