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Elezione Presidente: un triste spettacolo

Ultimo Aggiornamento: 02/01/2015 19:44
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Elezione Presidente: 
un triste spettacolo

di Luca Bagatin

 Poco ci appassiona, francamente, "un certo dibattito", in un Paese ove i balzelli ed i rincari sono all'ordine del giorno, ove gli 80 euro in busta paga – appannaggio solo di chi un lavoro lo ha già, peraltro – sono finanziati dal “gioco delle tre carte” (ti aumento qui per poi toglierti dall'altra parte...sic !), ove i lavoratori dipendenti rischiano sempre più spesso il posto di lavoro ed ove i disoccupati non hanno diritto ad alcun assegno sociale. Poco ci appassiona "un certo dibattito" in un Paese ove la corruzione ed il malaffare aumentano ed ove furti e truffe vengono persino depenalizzate!

Poco ci appassiona
, in questo Paese, insomma, il dibattito relativo all'elezione di un Presidente che non ha alcun potere reale e che costa ai cittadini ben oltre il mantenimento della Regina Elisabetta ai cittadini britannici !

Stiamo parlando di quel Presidente della Repubblica che, più in teoria che in pratica, dovrebbe garantire la Sacra Legge, ovvero la Costituzione della Repubblica italiana. Così non è pressoché mai stato dal 1948 ad oggi, ma tant'è. Oggi sappiamo solo che il Presidente Napolitano, primo PdR ad aver accettato un secondo mandato, si dimetterà e presto inizieranno le fatidiche “consultazioni”, ovvero l'inverecondo spettacolo che forze partitiche e relativi membri delle medesime metteranno in piedi, fra veti, congiure, sgambetti, burle e varie amenità alle spalle del popolo, quello italiano, che non è più sovrano da almeno un ventennio buono. Questo spettacolo ai limiti dell'assurdo non ci interessa davvero.

Diverso sarebbe se l'Italia fosse una repubblica presidenziale, con Presidente eletto direttamente dai cittadini, slegato dai partiti e con poteri di governo, così come nel sogno di Giuseppe Mazzini, Randolfo Pacciardi ed Edgardo Sogno. Ovvero sull'ispirazione della democrazia francese di Charles De Gaulle, di quella argentina di Juan Domingo Peron e dei molti Paesi latinoamericani che, grazie a Presidenti riformatori e autenticamente socialisti, sono riusciti ad emergere sulla scena mondiale, rendendo finalmente protagonisti i loro rispettivi popoli.

Nell'ambito del pensatoio “Amore e Libertà” (www.amoreeliberta.altervista.org – www.amoreeliberta.blogspot.it), attivo da quasi due anni, abbiamo lanciato una lucida provocazione: proporre l'ex Presidente dell'Uruguay José “Pepe” Mujica quale nuovo Presidente della Repubblica italiana. José Mujica, oltre ad aver devoluto oltre la metà del suo stipendio presidenziale ai poveri, è riuscito a trasformare il volto dell'Uruguay, riducendo la disoccupazione, le disuguaglianze, la povertà, aumentando il PIL del 6%, investendo in scuola, formazione, cultura: ovvero l'esatto opposto di quanto è avvenuto da noi in Europa e nella nostra triste e desolante Italia.

Meno chiacchiere e più fatti, quelli attuati da José Mujica, il quale oltretutto ha avviato nel suo Paese – oggi governato da suo compagno di partito Tabaré Vazquez – un progetto di autogestione delle imprese da parte dei lavoratori, rendendoli così protagonisti del processo produttivo e di emancipazione sociale. Altro che i nostri costosissimi Presidenti della Repubblica senza poteri ! Altro che i nostri Presidenti del Consiglio mai eletti da nessuno e asserviti alle logiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea ! Occorre invertire la rotta. Pensiamoci, quale buon proposito per il 2015.

opinione.it




[Modificato da ReteLibera 01/01/2015 18:38]
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L’anno del Cazzaro

Pubblicato su 1 Gennaio 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI  
di Alessandra Daniele 


Matteo Renzi
è davvero come uno smartphone: dopo neanche un anno la batteria è già bollita. 
Il reale bilancio del suo governo è identico a quelli dei precedenti governi Monti e Letta: meno lavoro, più tasse.
Tutto il resto è solo facciata.

Solo una pericolante catasta di promesse sempre più assurde e scadenze sempre più distanti, come le Olimpiadi del 2024 (!), una penosa sceneggiata fatta di slogan da televendita di frullaminchiate, pose ridicole da capoclasse, e battute da terza elementare su gufi, gattopardi, coccodrilli, canguri, sciacalli, liocorni, e facce da serpente.

Matteo Renzi è un cazzaro, e neanche uno dei migliori.

È il mago Casanova della politica italiana, ed è arrivato alla sconocchiata poltrona che occupa solo perché in tempi di crisi a chi gestisce davvero il potere politico-economico non interessa più occuparla direttamente, e preferisce piazzarci un prestanome, o meglio un prestaculo che ci si bruci le chiappe al suo posto.

Gli italiani si sono stancati presto della sobrietà, per tenerli buoni l’esangue Letta andava sostituito con qualcuno che ricominciasse a raccontargli le loro balle preferite: meno tasse per tutti, il Senato è un doppione, l’Italia è un grande paese, possiamo farcela se solo diamo agli imprenditori la possibilità di cacciare i fannulloni e assumere TE.

Contrapposte dai media alle quartine millenariste di Casaleggio, le slide renziane sono sembrate a molti italiani persino moderne.
Napolitano ha gestito da Camerlengo il turnover Letta – Renzi come aveva fatto coi due precedenti.
Questa è la funzione rimasta al presidente della repubblica nell’Italia post-democratica commissariata dall’UE: garantire che a prescindere dal risultato delle elezioni, e dei congressi dei partiti, il governo conseguente continui comunque a seguire le direttive BCE.

Infatti per il successore di Napolitano si fa il nome di Padoan, ministro dell’Economia, e resta in ballo anche quello di Prodi, nonostante ai berlusconiani faccia lo stesso effetto che fa il nome di Frau Blücher ai cavalli.

Il dopo-Napolitano potrebbe però diventare il dopo-Renzi.

Il Piccolo Cazzaro Fiorentino non s’è arrampicato in cima da solo come narra la leggenda, c’è stato installato come una batteria di ricambio, che dopo neanche un anno è già bollita.

L’anno del Cazzaro è agli sgoccioli. La mezzanotte s’avvicina.
Cosa succederà ai renziani quando il carro del vincitore sul quale sono saltati si ri-trasformerà in una zucca?

[Modificato da ReteLibera 01/01/2015 19:19]
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COMUNQUE VADA SARA’ UNO YANKEE



Scritto da: Gianni Petrosillo (19/04/2013)

Dietro ad ogni candidato alla Presidenza della Repubblica italiana c’è sempre l’America. L’endorsement statunitense pare proprio una conditio sine qua non per essere eletti o almeno indicati come favoriti al “soglio quirinalizio”.

Sul Colle si sale se si è attraversato, almeno una volt
a, l’Oceano Atlantico, col fisico o con la mente, comunque meglio se col primo, altrimenti nisba, si è destinati a fare volume tra concorrenti meglio posizionati per le ragioni accennate.

Senza recarsi a Washington, mecca del governo occidentale, si difetta dei crediti indispensabili per aspirare allo scranno più alto delle istituzioni nostrane.

Vi sembra strano? Non lo è perché siamo un Paese a sovranità limitata, ormai più vicino ad una simil-colonia che ad una nazione libera ed autodeterminata.

Da quando poi la nostra classe dirigente si è messa in gonnella di fronte ai poteri forti internazionali, siano essi amministrativi o finanziari, episodi come quello di Sigonella sono diventati impensabili. Ci mostriamo troppo remissivi e passivi, anche quando non ve ne sarebbe alcun bisogno. Quando il coinvolgimento internazionale ti viene lanciato come un osso dai tuoi padroni non vuol dire che sei rispettato ma che sei tollerato come alleato di compagnia, al quale ci si affeziona e si lasciano i resti per compassione ma che, tuttavia, non si esita a bastonare laddove dovesse iniziare ad abbaiare fastidiosamente.

Non c’è più la guerra fredda e i nostri ingombranti sodali non temono cedimenti verso altri competitors geopolitici, per cui danno per scontato, o fanno in modo che lo sia, il nostro gravitare intorno alla loro sfera egemonica senza se e senza ma e, soprattutto, senza inaccettabili pretese.

Una volta, l’ex inquilino del Quirinale, Francesco Cossiga, grande stimatore della Casa Bianca, ebbe a dire che nelle relazioni con gli Stati Uniti d’America non bisogna mai oltrepassare dei limiti. Il primo, quello di passare dall’amicizia all’accondiscendenza perché altrimenti anziché stringerci la mano si mangeranno tutto il braccio. Ed è quello che è accaduto. Ormai la loro influenza è diventata un condizionamento pieno, tanto che s’immischiano anche in affari minori nei quali, antecedentemente, avevamo una certa discrezionalità. Lo fanno perché sanno che anziché rifiutarci concederemo quello che va anche oltre ogni loro aspettativa.

Venendo agli uomini indicati dai partiti, per questo giro di votazioni presidenziali, a prescindere da chiunque andrà a vincere, registriamo la presenza di tanti papabili con le decorazioni giuste, cioè quelle a stelle e strisce.

Iniziamo da Franco Marini. Come racconta l’Espresso, negli anni ’70, lo Zio Sam si affida a lui per impedire la fusione delle tre sigle sindacali, in concomitanza con la crescita elettorale del PCI, che destava preoccupazione dalle parti di Washington. La Cisl, sigla cattolica, rischiava di finire fagocitata dalla meglio organizzata e rivendicativa CGIL. Nel 1974 il “lupo marsicano” si reca negli States dove riceve, probabilmente, aiuti economici tramite l’Afl-Cio e, sicuramente, indicazioni e consigli. La fusione salterà, la Cisl si ricompatterà e Marini avrà garantita la carriera.

Romano Prodiinvece, è stato Senior Advisor di Goldman Sachs, la più potente merchant bank statunitense, è membro dell’Aspen Institute, think tank che fa da sponda alle idee ed ai progetti americani sul nostro suolo, secondo vie non sempre trasparenti, ed è stato spesso ospite del  Bilderberg, il club degli illuminati della finanza e dell’industria mondiale, sul quale si dicono cose poco lusinghiere, quasi massoniche. Inoltre, da Presidente dell’Iri, il professore in bici, ha contribuito alla svendita scriteriata di alcuni preziosi tesori di stato finiti nelle mani di italiani legati alla finanza atlantica.

Mario DraghiSull’attuale Presidente della BCE lascio volentieri la parola all’ex picconatore Cossiga: Un vile, un vile affarista, è stato socio della Goldman & Sachs, grande banca d’affari americana, e male, molto male io feci ad appoggiarne, quasi ad imporne la candidatura a Silvio Berlusconi, male, molto male. E’ il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica, la svendita dell’industria pubblica italiana, quand’era Direttore Generale del Tesoro, e immaginarsi cosa farebbe da Presidente del Consiglio dei Ministri, svenderebbe quel che rimane, Finmeccanica, l’Enel, l’Eni ai suoi comparuzzi di Goldman Sachs”. Annuisco e non aggiungo per carità di patria.

Massimo D’Alema. Costui rappresenta l’incarnazione della massima di Gianni Agnelli seconda la quale certi interessi di destra sono sempre stati meglio assicurati da governanti di sinistra. Gli americani fecero lo stesso ragionamento nel 1999 e per salvaguardare i loro business imperiali e allargare le rivendicazioni mondiali, alla vigilia della guerra contro la Serbia, favorirono l’ascesa al premierato di un ex comunista pacifista, Massimo D’Alema appunto. A presentare D’Alema a Clinton fu Cossiga che per lui organizzò il ribaltone dell’Esecutivo rassicurando anche dell’assoluta fedeltà di Baffino alla causa, con la messa a disposizione di basi e caccia italiani per bombardare Belgrado.

Giuliano Amato? Medesima allegra comitiva, Bilderberg, Aspen, trilateral.

Infine, che dire di quello appena traslocato, Giorgio Napolitano? Il primo comunista, nel 1978, ad essere accolto dal Dipartimento di Stato americano.

Quindi, non vi affannate troppo in pronostici facili. In Italia, comunque vada, il Capo dello stato sarà uno yankee.

conflittiestrategie. it



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