*** <div style="background-color: none transparent;"><a href="http://news.rsspump.com/" title="news">headlines</a></div> ***
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Fede e ragione: una falsa antitesi

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2011 16:04
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 6.053
Post: 3.418
Registrato il: 26/09/2008
Sesso: Maschile
18/10/2011 16:03
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Fede e ragione: una falsa antitesi

     
L'antitesi tra fede (religiosa) e ragione profana, che l’opinione corrente dà per scontata, soprattutto dopo l’avvento del monoteismo dogmatico cristiano (“credo, quia absurdum”), non è che uno dei più grossi equivoci che abbiano devastato i popoli, soprattutto di razza bianca, o da quella dipendenti.

Essa presuppone infatti che i dogmi insegnati nei templi e, fino a tempi non lontani, imposti addirittura con le armi e coi patiboli, abbiano fonte e natura diversa che i cosiddetti “sillogismi” propri del metodo razionale.

Tale fonte viene privilegiata dai religiosi, che la dichiarano divina, e negata dagli atei che - in nome della ragione - la considerano arbitraria.

Basterebbe questo, per attestare la sterilità della polemica che per secoli occupò fervidi ingegni di ambo le parti, come lo è fatalmente ogni dibattito tra persone che partono da presupposti contrari e indiscutibili e da relative mentalità, consolidatasi in abitudini mentali ormai inveterate.

Non che le due posizioni mancassero di un’obbiettiva base.

Per i religiosi, l’indiscutibile presenza di forze e di leggi contro le quali l’intera umanità era palesemente impotente. Per i razionalisti, l’assenza di ogni possibilità di conferma delle affermazioni, spesso discordi, dei preti, in ordine alle sorti ultra-tombali dei defunti.

Ma a parte quelle vaghe basi, c’era ben poco di serio e di universale su cui potesse fondarsi una decente “conoscenza”.

I Cristiani intesero tappare a tutti la bocca con la dottrina della “rivelazione”. Dio onnipotente si sarebbe disturbato a rivelare esplicitamente agli uomini la verità e la propria volontà, e quindi porre in dubbio la sua Alta Parola sarebbe suprema stoltezza e satanica superbia, meritevole di dannazione eterna.

Ma soffermiamo un attimo l’attenzione su quella rivelazione (testi cristiani, prescelti e riconosciuti: Nicea, sec IV d. C.).

Essa sarebbe stata fatta verbalmente, sgolandosi all’aperto, a poche centinaia di popolani analfabeti ebrei in un minuscolo paese detto Palestina, ed accolta con favore solo da una minoranza di essi.

Grazie alla genialità di un rabbino (Saulo, detto Paolo), ebbe un limitato successo nei due secoli successivi, a seguito della famosa diaspora, nel bacino Mediterraneo dell’impero Romano.

Ma la quasi totalità del genere umano (tutti figli di Dio, o no?) sentì per la prima volta una lontana e variabile eco della rivelazione non prima di 1.500 (millecinquecento) anni più tardi, ad opera di una vasta burocrazia nerovestita (con golini bianchi di diverse fogge), che di miracoli non ne fece punti, salvo quelli assai sgradevoli provocati dalle bocche da fuoco dei suoi protettori laici.

Per ottenere tali modesti risultati, l’unico vero Dio sarebbe stato un bel giorno costretto (da chi? Ma non era onnipotente?) ad inviare tra quei quattro gatti di quel minuscolo paese del microscopico nostro pianeta nientemeno che il suo unico figlio, e a farlo morire per tre giorni tra feroci supplizi.

Beninteso: a quella quasi-totalità degli uomini, donne e bambini che della faccenda non ebbe alcun sentore, la Grazia divina e relativa salvezza eterna erano precluse. Extra ecclesia, nulla salus!

Come tutto ciò potesse convincere chi già non lo fosse in partenza, è veramente arduo da intendere. Ma altro è il punto che cerchiamo di chiarire: la diversità o meno del processo mentale che condusse alle certezze di fede, rispetto alle convinzioni “razionali”.

Tale diversità recisamente neghiamo, essendo, l’uno e l’altro, soltanto l’effetto dell’uso dissennato e improprio della cosiddetta ragione. Attributo esclusivamente umano, essa adempiette bene al suo compito sinché assicurò alla nostra specie quella versatilità e polivalenza che le permise di superare con successo le difficoltà ambientali, meglio che con le estreme specializzazioni fisiche proprie degli altri viventi.

Fatale ad essa fu però il momento (paleontologicamente recente) in cui, suggestionata dai successi pratici che la ponevano in vantaggio rispetto agli altri viventi, e spesso addirittura in grado di poterli soggiogare e impiegare, l’umanità si illuse di poter adibire la ragione, da sola, per attingere la conoscenza.

L’avvertenza che vi fu del pericolo è testimoniata dal mito del frutto proibito e della cacciata dall’Eden.

Il sillogismo, infatti, è solo un sistema per passare da un concetto a un altro per affinità.
Ma non può fornire il concetto di partenza.

Per salire su un albero occorre abilità; ma occorre soprattutto l’albero.

Così, i sillogismi possono utilmente applicarsi ai dati dell’esperienza, ma, ove si tratti della “conoscenza del bene e del male”, altro appoggio non possono avere che un tipo di esperienza superiore, consistente nell’armonizzazione con la suprema legge cosmica (quello che definiamo il “sacro”).

Anche quello, intendiamoci, rientra nelle possibilità dell’Uomo, ma è ben più difficile che intrecciare un canestro o abbattere un cervo. Investe non solo il modo di pensare, ma il modo di essere. Esige tenacia, dedizione ed anche sacrificio: tutta roba assai ostica alle “masse”.

L’idolatria della ragione è ben più a portata di mano, e finì per avere il sopravvento.

E la ragione si pose all’opera (che non era la sua), appoggiandosi dove poteva, e cioè alle nozioni condivise diffuse nei vari momenti. Se consideriamo la dogmatica religiosa cristiana, ci accorgiamo infatti trattarsi solo di elucubrazioni “razionali” poggiate su nozioni generali condivise assai rozze.

Basti pensare al grossolano geo-centrismo (per cui la Luna e le stelle non erano che ammennicoli del cielo terrestre), alla totale ignoranza della partecipazione di ambo i sessi alla riproduzione e persino della differenza tra un asteroide e una cometa.

Tuttora si insegna agli ingenui che i tre Magi (anzi: re-magi), in cerca della grotta dell’avvento, avrebbero seguito a dorso di cammello una cometa, finché essa non andò ad appendersi, a guisa di insegna turistica luminosa, sull’agognata stalla.

Verità di fede o semplice favola per bimbetti attoniti?

Quando, nel neolitico, gli allevatori e ibridatori di animali ebbero per certo (senza intenti scientifici), che per avere una femmina pregna non poteva farsi a meno di un suo precedente coito con un maschio, tutte le “fedi” su accoppiamento di puri spiriti con fanciulle mortali entrarono in crisi. Non come poetiche leggende, s’intende, ma come possibili dogmi di “fede”.

Ma la ragione - abbiamo visto - a certe bazzecole non ci bada, e, una volta mangiata la fatale mela, si scatenò nei suoi esercizi ginnici, nella pretesa di spiegare tutto coi suoi mezzi, senza neppure guardarsi intorno.

E, come innumerevoli possono essere le diverse opinioni sullo stesso argomento, così innumerevoli furono le dottrine che essa fu capace di architettare sul cosiddetto “sovrannaturale”, oggetto delle religioni.

Altrettanto avvenne per quella poi detta cristiana, che si affrettò infatti a frazionarsi in una miriade di versioni diverse e contrastanti, sovente l’una contro l’altra armate, pure nel senso materiale del termine.

Non verranno certo i “fedeli” a sostenere che tali differenze facessero parte della rivelazione divina!

Erano pure e semplici malefatte della solita ragione, né più né meno che le teorie profane!

Tra un vescovo Attanasio, proclamatore della Trinità e della filiazione divina di Joshua, e il vescovo Ario, negatore dell’una e dell’altra, qual era la “vera fede”?

Gettiamo in aria una moneta?

E teniamo conto che l’annosa controversia non fu risolta da un arcangelo inviato dall’Altissimo, bensì d’autorità e non senza ripensamenti, da un imperatore non cristiano e per motivi politici.

Cose da ragione, esclusivamente di competenza di essa, e sarebbe ingiusto darne la colpa allo Spirito Santo, no?

Il clamoroso cambiamento della situazione avvenne a seguito dei noti editti di Costantino e soprattutto di quello di Teodosio, di cui il primo legittimò l’attività dei capi cristiani e il secondo (Tessalonica, 380) proclamò il Cristianesimo religione dell’impero.

Sia il primo che il secondo, considerarono che le varie credenze cristiane si andavano facendo unitarie tra quelle delle genti conglobate nell’impero politicamente, giuridicamente ed economicamente, ma non spiritualmente, in quanto non avevano in alcun modo assunto l’habitus mentale del Quirite, e che esse costituivano però aliquota rilevantissima dei sudditi, e in particolare delle turbolente plebi urbane.

Ritennero quindi che, favorendo l’unificazione delle innumerevoli sette intorno a un potere centrale unico, univoco e fedele alleato dello Stato, si sarebbe consolidata quell’unità che, nel miscuglio etnico, si andava sfaldando. La storia dimostrò, purtroppo, che sbagliavano, ma si trattò certamente di un errore... razionale: non certo teologico.


La chiesa apostolica romana che ne risultò fu posta infatti in condizione di adottare da allora due nuovi sistemi, che sviluppò subito in misura esponenziale.

Chiediamoci ora in qual misura essi possano vedersi come attuazione degli insegnamenti del Cristo evangelico.

Il primo fu la violenta, sanguinosa campagna, alla testa di turbe fanatizzate, contro le genti, i simboli e gli edifici del culto romano precedente. Paesi interi (pagi, da cui “pagano”) furono dati alle fiamme con gli abitanti, templi distrutti o profanati, opere d’arte frantumate, nell’evidente intento di cancellare ogni diversa civiltà. Aumentando il potere del clero, la violenza fu regolamentata ed estesa anche a coloro che comunque, pur proclamandosi cristiani, minimamente si discostassero dalla dogmatica ufficiale dettata in Vaticano.

I roghi e i supplizi più feroci divennero pubblici spettacoli sulle piazze, a tutela dell’infallibilità pontificia. Oggi, lo chiamerebbero terrorismo, o sbaglio?

E, in materia religiosa, il potere politico, anche ove non gestito direttamente dal clero, si adattò al ruolo di “braccio secolare” di esso.

Perchè il popolo “partecipasse”, fu coniata l’immagine di un tizio con corna, barba caprina e coda, ispiratore, in odio a Dio, degli sciagurati eretici. Non falso e bugiardo, lui, ma vero, reale e perfido.

Tale bestiale aggressività contro gli “infedeli” fu regolarmente rispolverata allorché le varie sottospecie di Cristiani decisero di depredare genti stanziate in altri continenti, così malvagie da adorare divinità non autorizzate o utilizzabili dalle gerarchie vaticane.

Dalle Crociate ai genocidi dei neri o degli Amerindi lo schema non fece che ripetersi. Opera della fede dettata dal Dio d’amore, o prodezza della ragione?

Che ne pensate?

La paura della morte, tradotta in soldoni, fu la miniera d’oro dei satrapi tonsurati.

Ma la novità più vistosa e generalizzata, sebbene clamorosamente contraria all’ascesi e alla mistica cristiana, fu il puntare alla conquista delle masse per suggestione, anziché per conversione.

Tutti gli artisti, anche eccelsi, e tutti i poeti furono rigorosamente reclutati (e generosamente retribuiti) per la bisogna.

Dal IV al XVIII secolo, si può dire che tutta la poesia epica e le arti figurative altro soggetto non ebbero che l’agiografia cristiana, a base di uomini e donne con aureole dorate circolari sul cranio ed occhi stravolti in alto, a rischio di pestare porcherie. Le piccole divinità locali furono soppiantate da legioni di detti santi, veri o immaginari, a cui furono dedicati migliaia e migliaia di templi, dalle graziose e adorne chiesette alle sontuose e immense basiliche, erette con la patente scusa di onorare Dio (per sciocco e vanesio che la ragione l’avesse fabbricato), ma in realtà chiaramente destinate a sbalordire e soggiogare le turbe ignoranti.

Tra le contorsioni della ragione umana per mettere a posto la già accennata difficoltà, aggravata dal dogma attanasiano, in ordine alla divina filiazione, eccelse l’ “escalation” del culto mariano.
Dalla brava figliola, prescelta come fattrice dallo Spirito Santo bisognoso di un utero, e madre esemplare, quale emerge dai vangeli, la ragione sguinzagliata ne fece, di dogma in dogma e di sofisma in sofisma, la sostituta di tutte le rimosse divinità femminili, da Era a Proserpina, la Madre di Dio (!), l’avvocata di tutti i peccatori, la moderatrice dell’esagerato rigore dello spietato Dio Padre. Ancora oggi, il culto di Maria supera nettamente, a livello popolare quello del suo sacro figlio e di tutti i santi sommati. Si è moltiplicata anche numericamente, al punto che esistono numerose Madonne, e chi è devoto di una non lo è di un’altra, a conferma del fatto che, alla faccia di mastro Titta, il politeismo spontaneo è duro a morire.

Anche in fatto di fastosa coreografia dei riti, di ornamenti e vestiario dei “religiosi”, di esibizione di lusso e di ricchezza, la Chiesa romana non temette concorrenza, e cercò di barare sul numero dei partecipanti, come un Obama o una CGIL qualunque.

Il fasto e l’esibizionismo di cui si volle caricare ogni “uscita”, non solo del Papa, ma anche, localmente, di un qualsiasi ispettore (vescovo), il titolo di Eccellenza riservatogli (come a un ministro di Stato), gli onori militari e i privilegi civili riservatigli anche dai governi liberali, indussero le masse al rispetto di essi ben più che le prediche dai pulpiti o i “miracoli” accreditati, ormai rarissimi.

A tal punto, anche la reazione anticlericale scatenatasi con la rivoluzione francese del 1789, dopo la breve sbornia che schiaffò una prostituta sull’altare, dovette scendere a più miti consigli, sicché il potere politico dovette rassegnarsi a dividere la torta con quello religioso.

E il vicario di Dio in terra - per non sbagliare - fu assai accorto gestore del “novus ordo” della libera chiesa in libero Stato.

Anche in proposito, però, dobbiamo chiederci se ad ispirare la prima sia stata la “fede”, o non piuttosto la ragione profana: la stessa che può ispirare un banchiere, o un allevatore geloso delle greggi che gli danno da vivere. Il fatto sta che, dalla cessazione del potere temporale della chiesa, il fervore religioso del popolo registrò un continuo calo, le famiglie non ebbero più l’ambizione di avere nel loro ambito un sacerdote, e le vocazioni al sacerdozio registrarono un calo verticale, e tra i migliori e più “mistici” dei preti (es.: Lefebvre), si sviluppò la ribellione contro la prostituzione della Chiesa, sanzionata dal Concilio Vaticano II, patente resa della religione alla “modernità”.

L’aborto, il divorzio, la lotta all’omosessualità rappresentarono altrettante clamorose cadute di “cavalli di battaglia” residui della secolare tradizione che aveva sempre distinto la Chiesa.

Ogni qual volta il Sommo Pontefice o qualche suo “colonnello” azzarda una presa di posizione su una questione morale o sociale, ecco levarsi gli acuti latrati di quelli del “libero Stato” che lo accusano di indebita interferenza. Anche il buon nome dei loro pastori di anime sembra non preoccupare troppo le alte gerarchie, a giudicare dalla massima copertura che cercano di assicurare ai responsabili di pedofilia, di concubinaggio o di frodi economiche.

Anch’essa effetto della “fede”, o non piuttosto di una omertà di casta ?

Se invece si va a guardare agli effetti economici (e cioè di quel Mammona di cui il Cristo evangelico proclamava il servizio incompatibile con quello di Dio) il bilancio è assai meno disastroso. Il patrimonio immobiliare della “fede”, alla faccia delle persecuzioni, è colossale.

Si calcola in circa 1/5 della proprietà complessiva! Le località più belle e salubri sono regolarmente sede di conventi o altre istallazioni cattoliche, anche se gestite da sparuti gruppetti.

Il numero dei luoghi di culto e il valore delle loro suppellettili ed ornamenti è certo ridicolamente esorbitante rispetto al fabbisogno “religioso”, ma è intoccabile. Non parliamo poi delle attività finanziarie fiorite all’ombra della grande cupola, le cui vicende (spesso tutt’altro che limpide, come quelle di tutte le banche) le mantengono a un livello di “volume di affari” del tutto soddisfacente.

Ma per chi?

Secondo la più diffusa revisione (ossia riforma) della famosa rivelazione, ossia quella calvinista, prevalente fra i cristiani anglofoni oggi imperanti e petulanti, gli ultimi non saranno punto i primi, ma resteranno sempre più ultimi, e i primi sempre tali e sempre più primi, in quanto la ricchezza materiale sarebbe il segno dell’approvazione divina.
E non è che la più aberrante delle numerose fedi cristiane, calate certo non dal cielo con una qualche pentecoste, ma dalle libere scorribande della ragione umana.

Se, quindi, del tutto infondata è la pretesa del colossale apparato “religioso” di meritare rispetto perchè opera (sia pur indiretta) della Divinità, altrettanto lo è quella dei poteri profani, razionali e scientifici di aver liberato l’Uomo dal pregiudizio. I secondi non hanno infatti che istaurato un nuovo pregiudizio, forse (negli effetti) peggiore del primo, con metodi spregiudicati e fraudolenti del tutto al livello di quello precedente, e, come quello, consistenti solo nell’abuso della ragione umana.

Tuniche, aureole ed ali svolazzanti non furono che fantasie (in parte) dismesse, rispetto agli “white lab-coats” degli attuali occhialuti preti del “progresso”, ma - come ben sa il popolo - l’abito non fa il monaco.

L’autentica congiura contro l’Umanità, posta in opera in queste ultime migliaia di anni che hanno tutti i requisiti per essere i conclusivi del suo infestante e nefasto dominio (se non, grazie alla sua “ragione”, dell’intera biosfera), dai vari “culti” di personaggi da quest’ultima inventati alla cieca fede nella “scienza” e nel progresso, è stata una sola, ed ha avuto un solo scopo e risultato: la fabbrica di una moltitudine di schiavi rassegnati al servizio di una ristretta casta di maniaci del potere.

Ma vi è di più: salvo i mutamenti indotti da una sempre più estesa tecnologia, soprattutto delle comunicazioni (stampa, cinema, radio e poi TV), anche i metodi rimasero gli stessi. Primo: l’accoglienza e il favore - ovvero la reiezione - di ogni nuova ideologia senza alcun riguardo alla sua fondatezza, ma solo alla sua idoneità a favorire il menzionato potere.

Tra panzane imposte dai pulpiti, come l’arca di Noàh o le complicate vicende sessuali del Vecchione Celeste, o quelle imposte dalle cattedre, come quella dell’ “evoluzione naturale”, dell’abiogenesi o del “Big bang”, vi è forse una differenza di dignità?

Persino il limite della pubblicità religiosa, consistente nella infallibilità ex cathedra dei papi precedenti, magari pure santi, è stato saltato a piè pari dal progressistico e blasfemo Vaticano II, che pure il 99/% dei “fedeli” si è incorporato senza batter ciglio, come una supposta.

I pochi specialisti, infatti, protetti dal loro gergo incomprensibile per i profani, e che è subentrato al latino dei teologhi, passano da un simposio all’altro e non li conosce nessuno. L’opinione corrente invece, quali che siano le ridicolaggini che la nutrono, è quella democraticamente rilevante e di cui gli autocrati di questo mondo (e dell’altro ipotetico) hanno la massima cura e a cui dedicano le loro mafiose attenzioni.

E allora? - vi chiedo.

Vogliamo starcene qui con le mani in mano a aspettare il Big Bang (non quello passato e incerto: quello futuro e certo), come polli d’allevamento nelle stie? Vogliamo dimostrare la nostra superiorità intellettuale essendo più scemi di un lombrico, più nefasti di uno tsunami?

Se così non è, cominciamo subito col piantarla con l’opposizione tra ragione e “fede” con cui ci hanno irrorati fin dalla culla, senza peraltro risolverla affatto, perchè la cosiddetta fede non è stata che un’avventura della ragione.

Piantiamola con le mattane della dialettica (sia religiosa, sia profana, o sia mezza e mezza), mentre nostra madre Terra si appresta a darci lo sfratto, e la “ragione” continua a regalare ai coglioni che siamo mezzi sempre più efficaci per autodistruggerci.

Chiediamoci perchè popoli interi, di alta spiritualità, (p.es.: i nostri avi Romani, o, ancora ieri, gli Amerindi del Nord) quel fasullo dilemma non se lo sono mai posto, e poniamoci invece l’unico vero imperativo, non risolvibile con sofismi, di armonizzare il nostro essere e la nostra vita con la legge suprema del cosmo, che opera anche dentro di noi.

Se la nostra specie ha ancora un filo di speranza, è solo in quello.
[Modificato da ReteLibera 18/10/2011 16:04]
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:02. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com