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LEGA NORD "Solo chiacchiere e distintivo". Si, quello del .. mo mangio mi

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2011 14:25
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LEGA LADRONA

Viviana Vivarelli

Chi era che diceva che la Lega non è corrotta?
Perché non ricordiamo una delle più grosse truffe della Lega, quella Banca Popolare di Lodi per cui Bossi in persona faceva la propaganda con tanto di poster chiedendo ai leghisti di metterci i risparmi e in cui si truffarono anche i morti?

Il boss della banca, o dovremmo dire della banda, era Fiorani. Interrogato dalla polizia, confessò che, se i correntisti della Lega ci avevano rimesso il portafoglio, c’era invece chi se l’era ben riempito, quel Calderoli a cui Brancher rifilava buste sospette.

All’autogrill di S. Donato pavese passa di mano una busta con 200.000 €, viene da Fiorani e se la divideranno Brancher e Calderoli. Una seconda busta da 200.000 € va da Fiorani sempre a Brancher e Calderoli perché sostengano Fazio.

Calderoli nega ma ci sono altri 4 capi di imputazione per Brancher e la moglie, correntisti privilegiati della banca, che chissà perché in Borsa vincevano sempre, 300.000 € e poi altri 124.000, versati poi sul conto di Brancher.

Insomma una banda a 4, Calderoli, Brancher e la moglie e Fiorani, con l’aiuto non disinteressato del governatore di Bankitalia.

Quand’è che questi farabutti pagheranno il fio dei loro reati?

Pensate ai romeni, bravi leghisti, che non vi sfilino il portafoglio, mentre Calderoli e company vi sfilano il contro in banca!
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Gratta Brancher e trovi Calderoli

www.euroquotidiano.it/dettaglio/119495/gratta_brancher

La verità a galla: l’affaire è leghista.

Blindato l’anello a rischio di una catena esplosiva:se emerge una cricca del nord salta tutto. Se è Calderoli a dire, unico, che «quella di Brancher non è stata una nomina improvvisa», c’è da credergli.

Perché attraverso quella nomina si sta cercando di evitare il rischio di tornare ad accendere prepotentemente i riflettori sui rapporti tra Fiorani e il Carroccio. Una deflagrazione all’interno della Lega potrebbe per effetto domino far saltare la maggioranza e lo stesso governo.


Il giallo a questo punto è risolto. Brancher è stato fatto ministro per proteggere attraverso lo scudo del legittimo impedimento – da lui subito utilizzato per evitare l’udienza – ben altro che lui medesimo dal processo
Banca popolare di Lodi-Antonveneta.

Perché altrimenti premiare proprio Brancher e non invece Denis Verdini indagato per corruzione e riciclaggio, assai più uomo-chiave per B essendo di fatto il coordinatore unico e l’immagine del Pdl?

Perché il caso Brancher ha una sua unicità.

Il motivo dell’imbarazzo di Bossi (sul pasticcio delle deleghe affidategli, non già sulla decisione dell’upgrading a ministro) e in certa misura del prolungato silenzio di Fini è che Brancher è la punta di un iceberg che, se si sgretola, può far davvero saltare in aria maggioranza e governo, scombinando i piani di chi – praticamente tutti a eccezione di B – ha bisogno di più tempo per cucinare il Cavaliere e non vuole precipitare nelle elezioni anticipate.

Quell’iceberg a rischio di frattura è l’asse Pdl-Lega, è il patto B-Bossi.

Del resto il processo Antonveneta per Bossi è una bomba a orologeria.

Brancher c’è rimasto impigliato con un rinvio a giudizio per appropriazione indebita e ricettazione mentre la posizione di Calderoli, accusato di ricettazione, è stata archiviata.
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Corsi e ricorsi (per non dimenticare):

I “GIOVANI PADANI” INSORGONO CONTRO IL FIGLIO DI BOSSI : IL PADRE VUOLE PIAZZARLO SEGRETARIO GIOVANILE

BOSSI NON SI FIDA DEI COLONNELLI E PREPARA LA SUCCESSIONE MONARCHICA DEL FIGLIO PLURIBOCCIATO RENZO…LA MOGLIE MANUELA E ROSY MAURO STANNO PREPARANDO L’ENTRATA IN POLITICA ANCHE DEL SECONDO FIGLIO DI BOSSI, ROBERTO LIBERTA’….REGUZZONI FA FUORI GRIMOLDI, CAMBIANDO LO STATUTO E ORA PUNTA AL POSTO DI GIORGETTI IN LOMBARDIA




Altro che “Dinasty”, se in politica conta “metterci la faccia” è importante anche chi “ci mette il cognome”.

E’ facile, nella padagna del magna magna, passare dal “mai mulà, tegn dur” al “mai mulà, tegn famiglia”.

Questo sono le risultanze della riunione di venerdì scorso in via Bellerio, sede della Lega Nord, durante l’ultimo consiglio federale dei vertici del partito.


Una decisione che sta suscitando una vera e propria insurrezione nel movimento giovanile dei “giovani padani”.

Si è infatti affrontata la questione dell’eta media dei giovani dirigenti e si è stabilito che il segretario nazionale dei giovani non debba avere più di 29 anni.

Una modifica per far fuori l’attuale coordinatore, il parlamentare 35enne Paolo Grimoldi.

Già si parla di commissariamento e chi volete che sia il futuro segretario?

Renzo Bossi, il figlio pluribocciato del senatur.


Stavolta la “trota” rischia di rimanere indigesta alla Lega, visto i dissensi che si stanno manifestando tra i giovani padani per una scelta nepotista peggiore di quelle di Roma ladrona.

Ma cosa si cela dietro questa nomina?

E’ una mossa degli uomini più vicini a Bossi, guidati in questo caso dal capogruppo alla Camera, Marco Reguzzoni, per prendere il potere nel partito. Reguzzoni non perde occasione per attaccare ogni giorno Maroni e Giorgetti, con l’evidente obiettivo di scalare il posto di segretario nazionale della Lombardia al posto di Giogetti.

La scalata di Renzo Bossi rappresenta il tentativo di emarginare i colonnelli che fanno ombra al padre e la fase preparatoria per un domani prenderne il posto, come nelle migliori monarchie.

Nella Lega chi gestisce certe cose è infatti Manuela Marrone, la moglie di Bossi, che agisce sottotraccia, in sintonia con Reguzzoni, amico di famiglia, e con la badante Rosy Mauro, suo braccio operativo che non perde mai di vista il Senatur, nuova zarina e guardiaspalle, in nome e per conto della Manuela.

Con piccola corte al seguito dei Cota, Bricolo e compagni di merende.

Si sta preparando con discrezione anche il prossimo ingresso sulla scena politica del secondo figlio di Umberto e Manuela: Roberto Libertà, oggi 19 enne, in attesa di trovare successivamente collocazione anche al terzogenito, Eridano Sirio.

Ma è a Varese dove sta montando la ribellione tra i giovani padani: loro Renzo lo conoscono bene, in quanto frequentava le lori sedi: era un tipo spocchioso e lo vedono come il fumo negli occhi.

Le tensioni che sta creando Reguzzoni in Lombardia rischiano poi di propagarsi nelle regioni limitrove e già si vocifera che, con questo andazzo, la Lega Piemont e la Liga Veneta potrebbero uscire dall’alleanza federale con la Lega Lombarda. 

Per la base di un partito anti-Casta (a parole), è difficile digerire anche la nomina della trota.

Ricordiamo che già il primo figlio di Bossi (Riccardo) aveva preso per 5 anni il lauto stipendio di assistente parlamentare di Speroni a Bruxelles.


Senza dimeticare che anche il fratello del senatur, Franco, era stato piazzato  in Europa come portaborse di Salvini.

D’accordo che “i figli so’ piezz’e core”, ma questo non dovrebbe valere solo per Merola e i napoletani “che puzzano” ( come cantava Salvini) ?

Come è possibile che sia divenuta la regola per i “duri e puri secessionisti” della padagna del magna magna?

O alla fine l’Italia è sempre unita dal “tengo famiglia”?

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Corsi e ricorsi (per non dimenticare):

Dono a Lady Bossi: arrivano 800mila euro per la scuola padana

 
di Paolo Bracalini
  
Trecentomila euro
per il 2009 e 500mila euro per il 2010.

Le ristrutturazioni costano, e se c’è un aiuto statale è meglio.

Quello stabilito nel decreto del ministro del Tesoro lo scorso 9 giugno è stato particolarmente generoso con la Scuola Bosina di Varese.

Un nome che forse dice poco ai più, ma che nella Lega Nord dice molto.
La Scuola Bosina, o Libera Scuola dei Popoli Padani (una delle associazioni della galassia Lega nord), è stata infatti fondata nel 1998 dalla signora Manuela Marrone, «maestra di scuola elementare di lunga esperienza» (spiega il sito della scuola), ma soprattutto
moglie di Umberto Bossi. 
 

La signora Marrone è tuttora tra i soci della cooperativa che dà vita a questa scuola materna, elementare e secondaria improntata alla cultura locale, alle radici e al territorio. Presidente della scuola è Dario Galli, che oltre a occuparsi di pedagogia padana è stato anche senatore della Lega.

Proprio il Senato, con la commissione Bilancio (di cui la Lega ha la vicepresidenza), ha formalizzato l’elenco di enti beneficiari dei contributi stanziati nel «Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio» creato nel 2008.

Un elenco lunghissimo che comprende associazioni culturali, case di riposo, comuni, fondazioni, diocesi, parrocchie, università e appunto qualche scuola.

L’impegno statale per l’istituto scolastico padano è complessivamente di 800mila euro per due anni, 2009 e 2010, rubricato alla voce «ampliamento e ristrutturazione».


Il provvedimento della commissione bilancio ha anche un nome più popolare, «legge mancia», perché in quel modo senatori e deputati assegnano contributi e fondi a enti o amministrazioni che hanno particolarmente a cuore (per circa 200milioni di euro tra Senato e Camera), ovviamente anche a fini elettorali.

Non è questo il caso della Lega e della Scuola Bosina, il cui finanziamento (certo, generoso) non serve alla Lega per accontentare il proprio elettorato ma per sostenere un progetto in cui il Carroccio crede molto.

Basta leggere la mission dell’istituto sul sito della Lega Nord: «La Scuola Bosina si propone come obiettivo quello di coniugare l’insegnamento previsto dagli organismi competenti con le esigenze del tessuto sociale locale, di formare futuri cittadini integrati nella realtà storica, culturale, economica e industriale che li circonda, pronti a confrontarsi con altri modelli sociali».

Il metodo educativo padano si incentra sulla «progressiva scoperta del territorio» che avviene fin dalla scuola dell’infanzia, presentando narrazioni popolari, leggende, fiabe e filastrocche strettamente legate alle tradizioni locali e «numerose visite guidate sul territorio, che consentono al bambino di riconoscere da diverse angolature la propria identità».

Identità formata anche con lo studio del dialetto locale (tra cui appunto la lingua bosina, cioè il varesino), considerato fonte di cultura e tradizione da salvaguardare. «Abbiamo voluto questa scuola perché era fondamentale insegnare “dal basso” l'attaccamento alle tradizioni e all'identità del territorio» disse Bossi durante una parata di ministri e autorità, da Maroni alla Moratti, in onore dell’istituto padano.

La società cooperativa, con sede legale a Varese, ha chiuso il bilancio 2008 con una perdita di 495.796 euro, anche se le iscrizioni non vanno affatto male. Due anni fa, raccontò Panorama, gli alunni erano cresciuti del 25% e per la prima volta la Scuola Bosina era stata costretta a creare le liste di attesa per i suoi studenti.

Forse da lì l’esigenza di ampliarsi e ristrutturarsi, grazie agli
800mila euro gentilmente concessi dai senatori.
 



Il Giornale.it




LEGA PADRONA
di
ROMA LADRONA

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NEL RAGGIRO DELLE QUOTE LATTE,

LA BANCA DELLA LEGA COPRIVA I TRUFFATORI:

COINVOLTO IL DEPUTATO RAINIERI


CREDIEURONORD FU SALVATA DAL FALLIMENTO DA FIORANI: LA LEGA NON POTEVA PERMETTERSI  LO SCANDALO… COSA E’ EMERSO DALLA CONDANNA PER TRUFFA DI 60 ALLEVATORI DI CUNEO, COPERTI DALLA BANCA LEGHISTA… RAINIERI INQUISITO PER UNA TRUFFA DA 1 MILIARDO DI EURO SULLE QUOTE LATTE: ECCO PERCHE’ DEVONO DIFENDERLI



Partiamo dal 22 giugno 2010: nel pratone di Pontida, acquistato con i soldi della Banca Popolare di Lodi del plurinquisito Fiorani, di fronte a una rumoreggiante rappresentanza di allevatori, evasori delle multe sulle quote latte, Bossi lancia in messaggio in codice: “La Lega non vi ha dimenticato, tra qualche giorno capirete il perché”.

Il popolo dei trattori capisce che ancora una volta si sarebbe rinnovato il patto segreto che unisce i furbetti delle quote latte ai vertici di via Bellerio.

Un patto inconfessabile, fatto di truffe, operazioni finanziarie spericolate, alleanze trasversali con i Palazzi che contano della Roma ladrona.

Fu proprio Fiorani a salvare a suo tempo la banca leghista Credieuronord dal fallimento.

Amico del governatore della Banca d’Italia, Fiorani barattò l’appoggio della Lega a sostenere Fazio, in cambio del salvataggio della banca.

L’operazione fu gestita da Giancarlo Giorgetti, oggi presidente della Commissione Giustizia della Camera, cui era stato affidato il compito di salvare la banca “ad ogni costo”: era necessario coprire le operazioni spericolate dei vertici leghisti e le intermediazioni fittizie con le cooperative di allevatori create per nascondere la truffa delle quote latte non pagate.

La difesa dei produttori che non hanno pagato non è certo una battaglia ideale, quanto piuttosto la restituzione di favori e il risarcimento per mancate promesse.

Non dimentichiamo che furono numerosi gli allevatori che affidarono i loro risparmi alla banca leghista.

Ma soprattutto Credieuroinord era la banca che veniva utilizzata per pagare le multe del latte.

In che maniera truffaldina lo spiega il tribunale di Saluzzo che ha condannato 60 allevatori cuneesi, tutti soci delle cooperative Savoia, fondate da Giovanni Robusti, leader dei Cobas e poi europarlamentare del Carroccio.

I giudici Pasi, Cavallo e Franconiero spiegano: “Quando gli allevatori fatturavano il latte eccedente le quote assegnate, venivano fatte tre registrazioni: la prima estingueva il debito nei confronti del fornitore, facendo sorgere un debito nei confronti degli organi competenti per il prelievo. 

La seconda registrazione segnalava lo spostamento del denaro dal conto bancario utilizzato dalle cooperative per incasso pagamenti al conto aperto presso
Credieuronord.

La terza registrazione veniva effettuata in concomitanza con l’uscita del denaro dal conto della banca leghista. Il denaro tornava così agli allevatori che non pagavano la multa”.

Robusti e soci avrebbero in questo modo truffato, nel corso degli anni, dai 130 ai 200 milioni di euro.

Poco al confronto del miliardo di euro contestato dalla procura di Milano al parlamentare leghista Fabio Rainieri, presidente (pensa te in che mani siamo) della commissione Agricoltura della Camera.

Ranieri aveva messo in piedi un sistema di 28 cooperative a fare da schermo per evitare il pagamento delle multe: si chiamavano “Giuseppe Verdi 2001″ e funzionavano con lo stesso sistema di quello di Cuneo.

Ecco perchè fino ad oggi il governo ha sempre coperto i furbetti delle quote latte ( 1.000 su un totale du 40.000 onesti): chi ci prova, vedi Galan, si scontra con le forze del ricatto di chi conosce bene i peccati originali leghisti e i relativi intrallazzi.

Non a caso i revisori dei conti ritennero “non regolarmente redatto” il bilancio della Lega 2006, per insufficiente informativa sulla gestione della collegata Credieuronord holding spa.



I ricatti e le truffe alla fine li pagano gli italiani onesti:

i 4 miliardi di multe per le quote latte li avete pagati anche voi.

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Parentopoli-

Per non dimenticare Carrocciopoli

Che sputtanamento negli ultimi tempi per la Lega Nord. Non bastava il caso di Adro; non bastava il clamoroso esempio di nepotismo del padron Bossi che candida il figlio.
 
I politici bresciani si sono accodati e nell'ultimo concorso indetto dalla Provincia per 8 posti da dirigente (bei soldini di stipendio... anche se non ancora assegnati) 5 vengono vinti da parenti stretti di assessori provinciali ma c'è anche la moglie del vicesindaco di Brescia Fabio Rolfi.
 
Strano che su 234 aspiranti che hanno fatto lo scritto (anche gente molto preparata) e su 38 che sono finiti agli orali....  the winners are.....

Al primo e al terzo posto ci sono Cristina Vitali e Anna Ponzoni, entrambe già titolari di un contratto ad personam con l'Assessorato provinciale alle attività produttive del leghista Giorgio Bontempi.
 
Al quinto posto Silvia Ranieri,  capogruppo della Lega al Consiglio comunale di Concesio e moglie del vicesindaco di Brescia, il leghista Fabio Rolfi.
 
Sesto posto per Katia Peli, nipote dell'assessore provinciale all'Istruzione con il cui ufficio in Broletto aveva già collaborato negli anni scorsi.

Ottava posizione per Sara Grumi, figlia di Guido Grumi (assessore a Gavardo e candidato leghista alle ultime regionali).

Al decimo posto il nome di Margherita Febbrari, che dopo aver già lavorato nello staff del parlamentare leghista Davide Caparini e al quotidiano «La Padania» oggi lavora in Loggia come collaboratrice del vicesindaco Rolfi.

Dove sono i leghisti che criticavano il nepotismo, il malaffare terronico? 

Ieri il presidente della Provincia Daniele Molgora ha annunciato querele per chi parla di Carrocciopoli e ha spiegato che la sua politica è quella del risparmio (ha già tagliato il 10% dei dipendenti) e che i vincitori del concorso non sono assunti e al momento non ricevono stipendio. Perchè si è fatto un concorso allora se non servivano?

E' vero che era stato indetto sotto la giunta Cavalli, ma che vuol dire?

Mi pare che la Lega avesse un buon peso anche nella scorsa legislatura.

E' vero anche un altro aspetto: le 5 donne di cui si parla avevano più punteggio delle concorrenti maturato dal fatto di aver già da tempo lavorato in Provincia.
 
E' anche vero che la commissione giudicatrice era fatta da dirigenti di settore e non da politici.

Ma resta un punto: possibile che in Italia qualsiasi forza politica vada al potere si porti una pletora infinita di portaborse, parenti, amici?

Lo faceva la Dc, lo fa il PdL, in parte lo ha fatto anche il Pd... a quanto pare anche la Lega non è immune

Non tutti i leghisti sono uguali per carità. Però però..... la nipote di Aristide Peli, Katia, ha iniziato a lavorare prima che lo zio diventasse assessore.

Possibile che quando lo è diventata sia andata a lavorare per lui?

Fossi stato l'assessore l'avrei mandata nell'ufficio più lontano da lui, proprio per evitare qualsiasi pensiero di favoreggiamento e aiuto.


Anche questa è moralità.


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Due pentiti scrivono la storia di Carrocciopoli


di Alessandro Da Rold

Due libri coinvolgono i due alti esponenti del partito. Il titolare della Semplificazione è accusato 
di furto ai danni della Lega emiliana nel periodo caldo delle cooperative padane.

Il viceministro
delle Infrastrutture invece sarebbe il candidato “Gamma” favorito dalla malavita calabrese.

Due pentiti. Due libri.

Un camion di letame sulla Lega Nord di Umberto Bossi.

Non  c’è dubbio che giovedì 2 dicembre del 2010 non passerà alla storia del 
Carroccio come una giornata qualunque.

 Perché presentare nello stesso giorno due libri come Umberto Magno,
l’imperatore della Padania di Leonardo Facco e Metastasi di Gianluigi Nuzzi e Claudio Antonelli, significa s cope r chiar e   l’intero vaso di Pandora di via Bellerio, svelando ciò che il 
Carroccio ha sempre cercato di nascondere: problemi interni, finanziamenti
ai figli di Umberto Bossi, intercettazioni scomode e quant’altro


Il primo è il più pesante. 

Facco, leghista della prima ora, ex giornalista della Padania, ha 
riportato in 480 pagine tutta la vita del Senatùr, raccontandone misfatti, 
debolezze sessuali e di potere.

Nel secondo i due cronisti di Libero, non hanno incentrato il loro libro sui rapporti tra la ’ndrangheta e la Lega Nord, ma hanno comunque inserito in un capitolo una storia scomoda per i leghisti.

Quella di “Gamma”, leghista di Lecco che ha iniziato a fare carriera nel suo feudo grazie anche all’aiuto dei voti della malavita organizzata.

Ex ministro, dirigente di una certa importanza, nessuno ha osato dire il suo nome, ma l’unico che ha alzato la voce per replicare alle illazioni è stato Roberto Castelli, viceministro alle Infrastrutture.

Negli ambienti del Carroccio, si vocifera che ci sia una cosa che accomuna i due libri in uscita in questi giorni nelle librerie.

Entrambi, in un modo
o nell’altro, vanno a colpire, oltre al Senatùr, i due esponenti che in questi mesi hanno 
perso più posizioni di potere all’interno del partito.


Da un lato Castelli, dall’altra Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione. 

È utile ricordare che il leghista lecchese fu l’unico questa estate a rilasciare un’intervista al Giornale in cui raccontava pubblicamente dei problemi interni al partito.

Come allo stesso tempo accadde a Calderoli, finito sulla graticola per l’affare Brancher, il ministro breve del Federalismo, anche lui comparso su svariati quotidiani per difendersi dalle bordate che gli arrivavano dagli uffici di via Bellerio.

Sarà un caso, ma in questi mesi così difficili per la Lega Nord, 
tra cerchi magici, colonnelli, varesini e veneti, nel libro di Facco ci si sarebbe potuto aspettare 
qualcosa di più sul potente ministro dell’Interno Roberto Maroni. 

In realtà c’è ben poco, se non un richiamo alla caso Antonveneta, passando per spedizione in Serbia
e la storia dei finanziamenti alla sua portavoce Isabella Votino.

Quisquilie se messe in relazione ai file alla Wikileaks che riguardano Castelli e Calderoli.

Perché se il primo viene di fatto associato alla malavita organizzata dal pentito Giuseppe Di Bella, 
sul secondo vengono persino pubblicati i documenti che testimonierebbero un presunto furto
ai danni della Lega emiliana nel periodo caldo de l l e   coope rat i v e  padane .

Partiamo dal ministro per la Semplificazione.

A pagina 311 di Umberto Magno, Sacco racconta la storia delle “Coop made in Padania Scrl”  
creatura bossiana organizzata per finanziare il partito, finita in disgrazia quasi come Credieuronord.

Presidente delle Coop in un primo momento era proprio Calderoli.
E attraverso le parole di Mario Morelli, ex consigliere di amministrazione della catena di supermercati,
Facco ripercorre tutti i disastri dei calderoliani, tra dentifrici in esubero, immobili pagati uno sproposito, flop economici e conti lasciati in sospeso.

«Bossi, Calderoli e altri padani - si legge nel libro - pensavano che un pizzico di coraggio,
un tantino d’inv ent i va,  un po’ di voglia di fare mischiata all’improvvisazione fossero elementi sufficienti per il successo».

In realtà la vicenda, oltre ad avere tratti grotteschi, tra cui quello di 24 milioni di buste di 
deodorante con il sole della alpi rimaste invendute, finì molto male.

Morelli, infatti, a cui fu data la presidenza dopo
l’addio di Calderoli nel 1999, si ritrovò di fronte in poco tempo un debito di circa un miliardo di lire e un’azienda sull’orlo del fallimento.

«Una mattina - rac conta Mor e l l i  - Calde rol i  mi   convocò nel suo ufficio chiedendomi di sostituirlo in quell’incarico. 

Motivò la sua richiesta col fatto che questo incarico incideva negat i vament e   sul   rappor to
pol i t i co  che  av e va  con Bos s i».

Del resto, quando Morelli parlò della situazione al Senatùr,Bossi non la prese affatto bene.

«Mi rispose con parole di fuoco - ricorda Morelli - indirizzate contro il mio predecessore Calderoli: tuoni, fulmini e saette».

Non solo. Il caso scottante è che al fallimento delle Coop è conseguita la protesta di chi 
quei soldi li aveva versati nelle tasche di Calderoli.

Emblematica la lettera di Genesio Ferrari, ex segretario della Lega emiliana che chiede indietro i dieci milioni di lire versati anche grazie all’aiuto dei militanti:
 «Il tutto si è risolto in una bolla di sapone».

Quanto a Castelli, si è già scritto molto. 

Ma il dato è comunque pesante, perché nel ’90 ci fu il boom di voti per i leghisti.

Il pentito Di Bella, vicino al boss Coco Trovato, racconta a Nuzzi e Antonelli che la parola d’ordine tra le ’ndrine di Lecco e ra  votar e  “Lega”: Gamma era il loro uomo di riferimento.
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Quanto guadagna Renzo Bossi? Il triplo di un Governatore Usa


Pubblicato da Giulio Ragni il 12/10/2011 in: Politica

Quanto guadagna Renzo Bossi? Il triplo di un Governatore Usa


Il tema dei 
costi della politica torna nuovamente alla ribalta sul quotidiano Il Corriere della Sera, che ospita un articolo dell’autore de La Casta Gian Antonio Stella, il quale addita come massimo esempio di spreco di denaro pubblico lo stipendio di Renzo Bossi detto ‘Il Trota’: 150 mila euro netti l’anno, il triplo all’incirca di un Governatore degli Usa.

Il sagace figlio di Umberto, noto alle cronache più che altro per aver ripetuto svariate volte l’esame di maturità, guadagna come tre governatori americani messi insieme: secondo una ricerca svolta dal professor Antonio Merlo della University of Pennsylvania, con i suoi 150.660 euro netti l’anno, Il Trota prende in busta paga quanto i Governatori del Maine, del Colorado e dell’Arkansas.

Non conosciamo il valore intellettuale e politico dei tre signori, che sono rispettivamente Paul LePage, John Hickenlooper e Mike Beebe, ma non stentiamo a credere che abbiano qualità superiore al figlio di papà nostrano.
 
Ma il punto è un altro: costano molto meno ai cittadini.

Sia chiaro, il problema degli incompetenti piazzati nei luoghi di potere riguarda tutti i partiti e tutte le regioni italiane, da Nord a Sud, ma il ‘caso Trota’ fa specie per due motivi: primo perché la Lega Nord si è fatta una reputazione attaccando il Meridione assistenzialista e i politici incapaci pagati con le tasse dei cittadini. Appunto. E oltretutto Bossi jr è consigliere nella regione considerata la ‘locomotiva’ d’Italia, la Lombardia, quella che secondo i leghisti ospita la capitale morale del paese, Milano. È normale, scrive ancora Stella, che un consigliere regionale lombardo prenda mediamente, al netto, il triplo di un collega della California, che se fosse uno stato autonomo avrebbe tre volte e mezzo la popolazione della Lombardia e sarebbe come Pil al settimo posto mondiale? La risposta è sin troppo ovvia.

[Modificato da ReteLibera 27/10/2011 16:29]
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A quel paese vacci tu

26 ottobre 2011

Umberto Bossi fa sapere che Gianfranco Fini deve andare a quel paese, per aver detto la verità su sua moglie Manuela Marrone, ovvero che è una baby pensionata (cosi’ come la consorte di Tremonti, del resto).

L’onorevole Bossi, si sa, è fatto cosi’: male. Da quando ha avuto l’ictus dimostra una certa insofferenza nei confronti delle critiche, oltre ad essere considerato non del tutto sano dall’autorevole stampa estera, e da quella italiana.

Ma la parte più ridicola del discorso del Senatùr non è mica la parolaccia. E’ la giustificazione offerta al popolo di giornalisti che ancora lo insegue per avere una biascicata dichiarazione, invece di ignorarlo o compatirlo come si dovrebbe fare con chi insulta: “Quando uno va in pensione ci va con le regole che ci sono in quel momento”.

Una bella frescaccia, direbbero in Padania.

Nessuno è obbligato ad andare in pensione anticipata, la richiesta è facoltativa. E la signora Marrone in Bossi, visto che ha cominciato a gestire una scuola – ricevendo anche 800mila euro di contributi dallo Stato – poteva anche rinunciare al vitalizio. Tanto più che la posizione ricoperta dal marito sicuramente le consentiva la tranquillità economica.

Ecco perché Bossi, oltre ad aver mentito ai popoli del Nord promettendo cose che non si sono mai avverate, e aumentandogli le tasse con l’incremento dell’Iva, dice menzogne anche sulla situazione della moglie.

Bisognerebbe chiedergli di dimettersi, se non fosse che è una parola sconosciuta al suo vocabolario.

E allora andasse a quel paese, almeno.

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Quanto ci costa la moglie di Bossi?

27 ottobre 2011

Ecco il calcolo del computo delle baby pensioni sul bilancio dello Stato

Le ‘baby pensioni’ costano allo Stato 163,5 miliardi. Una sorta di `tassa` pari a 6.630 euro a carico di ciascuno dei 24.658.000 lavoratori italiani.

Il calcolo è di Confartigianato che ha analizzato quanto pesano sul bilancio statale e sulle tasche dei cittadini, in termini di mancate entrate e maggiori uscite, le 531.752 pensioni di vecchiaia e di anzianità concesse a lavoratori pubblici e privati che sono andati in pensione con meno di 50 anni di età, in alcuni casi addirittura dopo appena 14 anni, 6 mesi e 1 giorno di servizio.

L’INPDAP – Il 78,6% di queste pensioni sono erogate dall’Inpdap, l’ente di previdenza del pubblico impiego, che registra 424.802 pensioni a dipendenti pubblici ritirati dal lavoro ad una età inferiore a 50 anni: di queste il 56,5% sono erogate a donne.

Il costo di queste pensioni pubbliche ammonta a 7,43 miliardi.
Il rimanente 21,4% è relativo alle 106.950 pensioni erogate dall’Inps a soggetti con età di uscita inferiore a 50 anni in relazione a regimi speciali e prepensionamenti, per una spesa complessiva di 2,02 miliardi.

Considerata l’età di uscita dal lavoro dei baby pensionati, la loro età attuale e la speranza di vita, i baby pensionati rimangono in pensione, in media per 40,7 anni. Con una durata media della vita stimata a 85,1 anni, si tratta del 48% della vita trascorso in pensione.

IMPATTO NON TRASCURABILE – “Le baby pensioni – rileva Confartigianato – hanno un impatto sulle finanze pubbliche tutt’altro che trascurabile.

La spesa previdenziale relativa a questi trattamenti previdenziali ammonta a 9,45 miliardi di euro all’anno.
Ma, poiché il mezzo milione di pensionati precoci riceve un trattamento pensionistico più lungo di 15,7 anni rispetto ad un pensionato medio, il risultato è che le baby pensioni determinano una maggiore spesa pubblica cumulata per i 15,7 anni di durata della pensione eccedenti alla media che ammonta a 148,6 miliardi di euro.

Ciò significa che per ciascun baby pensionato viene erogata una maggiore spesa rispetto ad un pensionato ordinario di 279.582 euro.

A questa somma – prosegue Confartigianato – va aggiunta la minore contribuzione pari a 138.582 euro per ciascun baby pensionato del settore privato che complessivamente si traduce in 14,8 miliardi di mancate entrate previdenziali per gli oltre centomila baby pensionati privati”.

L’INIQUITA’ – “Le baby pensioni – sottolinea Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato – sono un fenomeno paradossale, un`assurda iniquità, frutto di politiche pensionistiche poco `previdenti` fatte negli anni Settanta e Ottanta.

Con queste cifre si mette in ginocchio qualsiasi sistema contributivo e retributivo.

Con una seria riforma della previdenza che alzi l`età pensionabile si potrebbe fare un`intera manovra di sviluppo”.


http://www.giornalettismo.com

[Modificato da ReteLibera 27/10/2011 17:04]
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Bossi & Berlusconi, la pista dei soldi

La Lega ora contende potere al Pdl. Ma fino a che punto
si può spingere?

Ci sono patti segreti tra i due leader?



“Io sono uno dei pochi che non ha mai chiesto né una lira né un aiuto a Berlusconi”.

Le parole dette il 20 marzo da Umberto Bossi, sul palco della “festa dell’amore” in piazza San Giovanni a Roma, risaltano di più oggi, dopo che la Lega è diventata l’azionista più deciso del centrodestra: il Carroccio è ormai il 31 per cento dell’alleanza, un terzo dello schieramento.

Adesso alza il prezzo, sa che può chiedere di più. È iniziata “la battaglia più insidiosa”, come la chiama Ignazio La Russa: quella interna al centrodestra. Ma fino a che punto Bossi può tirare la corda?

Il patto tra Umberto e Silvio è destinato a durare? E che tipo di patto è?


Nasce nei primi mesi del 2000. Prima, la Padania, il quotidiano della Lega, chiamava Berlusconi “il mafioso di Arcore”. E pubblicava con grande evidenza (era l’agosto 1998) dieci domande sull’odore dei soldi e sulle imbarazzanti relazioni siciliane del fondatore di Forza Italia.

Con il nuovo millennio, il clima cambia. Bossi e Berlusconi siglano un patto di ferro che li porterà al trionfo elettorale del 2001. “L’accordo potrebbe essere raggiunto in tempi brevi. Si può dire che è stato raggiunto, in parte è già scritto”, dichiara Bossi a Repubblica già il 27 gennaio 2000. “Ma lo avete depositato del notaio, come scrive qualcuno?”, gli chiede l’intervistatore.

Il leader della Lega nega: “A che cosa serve il notaio in politica? Sono cose da matti, invenzioni fantasiose”. 

Eppure la notizia dell’esistenza di un patto scritto, depositato da un notaio, circola da subito. E arriva dall’interno della Lega. Qualcuno favoleggia di un accordo con una parte anche finanziaria: debiti appianati, bilanci risanati. “Cose da matti, invenzioni fantasiose”, come dice Bossi.

Qualche anno dopo, si saprà che all’esistenza di quel patto scritto credeva anche la security Telecom guidata da Giuliano Tavaroli, che lo ha cercato a lungo. Quando nel 2007 arrestano un collaboratore di Tavaroli, il giornalista di Famiglia cristiana Guglielmo Sasinini, tra i documenti che gli sequestrano ci sono anche appunti sul presunto patto Berlusconi-Bossi: “In quel periodo pignorata per debiti la casa di Bossi”. E poi: “70 miliardi dati da Berlusconi a Bossi in cambio della totale fedeltà”. “Debiti già ripianati con 70 mld”.

E ancora: “Notaio milanese?”. Segue anche il nome “Tremonti”, senza però alcun dettaglio né legame con il presunto accordo. Bossi non si scompone: “Figurarsi! Una balla spaziale. Berlusconi è uno che non tira fuori un soldo nemmeno per pagare i manifesti elettorali... figurarsi se tira fuori dei soldi per la Lega!”.


Ma i soldi per la Lega qualcuno li ha tirati fuori. E ne è restata traccia. È Gianpiero Fiorani, il banchiere della Popolare di Lodi che nel 2005 guida gli assalti dei furbetti del quartierino. È lui che salva la Lega arrivata a un passo dalla bancarotta. Mai stati gran finanzieri, quelli del Carroccio.

Nel 1998 una decina di leghisti di spicco, tra cui il tesoriere Maurizio Balocchi e l’ex sottosegretario Stefano Stefani, investono in un villaggio turistico in Croazia che si rivela un flop e finiscono diritti dentro un’inchiesta per bancarotta fraudolenta.

Fanno peggio quando cercano di diventare banchieri. S’inventano la Credieuronord, un piccolo istituto di credito messo su nel 2000. Primo nome: Credinord. “Ci hanno fatto cambiare nome, pazienza se ci è toccato mettere di mezzo l’euro, l’importante è che sarà una grande banca”, dichiara un Bossi pieno di speranza. Poi comincia una struggente campagna di proselitismo, che chiede ai militanti leghisti di mettere mano al portafoglio per contribuire al successo della nuova “banca padana”. 

Vengono aperti un paio di sportelli a Milano e uno a Treviso, ma dura poco. Fidi importanti vengono concessi, senza troppe garanzie, a pochi clienti eccellenti, tra cui la moglie dell’ex calciatore Franco Baresi. Finanziamenti facili sono concessi alla Bingo.net del tesoriere della Lega Maurizio Balocchi. In breve: Credieuronord collassa. E conquista il record di essere l’unica banca al mondo che in soli tre anni riesce a perdere quasi per intero il capitale sociale. Le azioni pagate 25 euro l’una alla fine dell’avventura crollano a 2,16 euro. Bruciati oltre 10 milioni.


I capi leghisti rischiano, con la bancarotta, di rimetterci la faccia e magari anche i patrimoni. Ma arriva il salvatore: Gianpiero Fiorani.

Dieci anni prima era stata la sua Banca popolare di Lodi a concedere alla Lega il mutuo che aveva permesso al partito di comprare la sede di via Bellerio a Milano. Nel 2004, con la regia del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, compra Credieuronord e annega i debiti della banchetta leghista nell’accogliente pancia della Popolare di Lodi. 


Erano clienti di Credieuronord, nonché leghisti convinti e sostenitori di Bossi, anche i fratelli Angelino e Caterino Borra, grandi collezionisti di armi, ritrovate in enormi e misteriosi capannoni in provincia di Pavia. I Borra sono i proprietari della storica Radio 101, l’ex Radio Milano International, one-o-one: la loro emittente precipita nel buco nero di un crac. Aggravato dal fatto che, per tentare di far quadrare i conti, Caterino Borra e la sua compagna Carmen Gocini, curatrice fallimentare per il Tribunale di Milano, sottraggono 35 milioni di euro alle aziende affidate dal Tribunale a Gocini e li riciclano in parte proprio attraverso la banca della Lega.

Brutte storie, le storie di soldi delle Lega.

Del Carroccio sappiamo quasi tutto, storia, politica, ideologia, passioni, intemperanze... Le sue finanze restano però un oggetto in gran parte misterioso. Su questo sfondo opaco, non è dunque così strano che possano attecchire le leggende di patti segreti che legano per la vita il Silvio e l’Umberto.

“Cose da matti, invenzioni fantasiose”: parola di Bossi.

(Il Fatto quotidiano, 1 aprile 2010)


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Beh è la fotografia della realtà.

Sono 20 anni che la Lega spara su Roma Ladrona nel frattempo stanno occupando tutte le poltrone possibili.

Nel frattempo hanno seminato odio che cercano di cavalcare contrapponendo nord e sud.
Bianchi e neri. immigrati ed Italiani.

Ma qualcuno crede davvero che sull'odio si possa costruire?

Che prima o poi non se ne paghi il prezzo?

E che dire del prezzo pagato per un federalismo che non c'è, che non si sa che roba è , chi realmente lo vuole e quanto costerà davvero?

Il prezzo pagato è il sostegno a Berlusconi, e alle varie cricche che lucrano denaro pubblico.

Sparano contro il sud ma hanno votato per salvare dalla galera Dell'Utri e Cosentino. Cioè il simbolo del sud mafioso e corrotto.

Io sostengo da tempo che i primi a non volere il federalismo sono i leghisti.
Perchè non potrebbero più vendere il miraggio, il nuovo sole dell'avvenire che tutto risolve.

Se infatti si attuasse davvero il federalismo gli elettori si accorgerebbero che è un bluff, che non risolve alcun problema anzi lo aggrava. In tutto questo ci sarebbe bisogno che Napolitano, a questo punto simbolo della Costituzione, batta un colpo e dica basta ai comportamenti eversivi della Lega.
E fra le tante toghe rosse mi chiedo se non ce ne sia una disposta a mandare i carabinieri a casa dei leghisti che fanno dichiarazioni eversive o incitanti all'odio.

Sarebbe il caso di mettere un punto ad una deriva che si sta facendo davvero pericolosa e che di folkloristico ha davvero poco.


La Lega rischia di portare il paese sull'orlo della guerra civile, o comunque dell'implosione.


gg





[Modificato da ReteLibera 01/11/2011 13:24]
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Umberto Bossi e i pericoli per la democrazia

Umberto Bossi e i pericoli per la democrazia

 

"Prima o dopo vi spacco la faccia o vi denunciamo. Verrà un giorno in cui la gente vi piglia per il collo. Attenti, c'è un limite alla critica, finora l'abbiamo accettato, ma prima o poi viene il momento della rabbia".

(Umberto Bossi rivolto ai giornalisti)


Ci sono parole che, in un sistema democratico, non possono essere usate, nemmeno per scherzo.
Inutile qui ricordare che “nomina sunt consequentia rerum”, che cioè la scelta di una parola esprime un modo di pensare, un sistema di idee. Chi è ignorante ed utilizza un vocabolario scarso è perché fornisce poca importanza alla cultura e allo spirito. La persona colta, in grado di maneggiare un vocabolario molto esteso, per forza di cose avrà anche un pensiero ricco e produttivo.


Ora, in democrazia non dovrebbe essere possibile delegare la rappresentanza politica a persone impreparate e ignoranti. Con questo non vogliamo dire che siamo per un governo degli ottimati o per l’aristocrazia (che per Platone, era il “governo dei migliori”) ma che, in accordo con quanto riteneva Antonio Gramsci, «la politica è una materia complessa, per capirla occorre studiare, pensare e progettare». Insieme a Palmiro Togliatti, Gramsci, poco dopo aver fondato il Partito comunista nel 1921, organizzava corsi di studio per gli operai torinesi, nella convinzione che soltanto in questo modo la classe operaia avrebbe potuto primeggiare.



Ora, pensare che l’Italia possa uscire dalla crisi economica più grave dal dopoguerra ad oggi con il pensiero di Umberto Bossi è semplicemente folle.

Bossi e la sua compagnia di teatranti esprimono, oramai da venti anni, una preparazione da bar dello sport, una totale inconsistenza intellettuale e una incapacità deleteria di fare qualcosa di diverso dal “difendere gli interessi del Nord”.

In ciò violando l’articolo 67 della Costituzione, il quale impone che i deputati devono rappresentare la Nazione nel suo insieme.


Nella Lega di Bossi rivive in forme aggiornate quell’analfabetismo fascista degli Starace, quell’inconsistenza anche caratteriale dei Ciano, con l’aggravante di un’istigazione alla disunità del Paese che potrebbe rasentare il reato di “attentato alla Costituzione” (articolo 283 del codice penale).  

Il suo è un vivere politico al di fuori della democrazia, la sua visione della rappresentanza politica è quella dei Lukashenko, dei Kim Il Sung, un familismo monarchico in cui il “cerchio magico” sostituisce i poteri indipendenti e autonomi teorizzati nel XVIII secolo da Montesquieu.

Bossi è un tratto di penna sulle libertà costituzionali e sulle conquiste della democrazia avanzata.

Per questo, nonostante il suo stato fisico, è molto pericoloso, più pericoloso di quanto si sia disposti a credere.

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A chi conviene una crisi di governo
 


Le Elezioni politiche del 2008, secondo l’ultimo Referto della Corte dei Conti, a fronte di una spesa complessiva di 110.127.757,19 euro ci sono costate ben 503.094.380,90 euro, ovvero
200 milioni di euro in più rispetto al taglio di risorse per la scuola e l’università programmato dall’ultima finanziaria

Non solo, il valore totale dei rimborsi statali versati ai partiti, che nel 1994 ammontava a circa
47 milioni di euro, negli ultimi 14 anni si è più che decuplicato, facendo esborsare agl italiani, tra il 1994 e il 2008, un totale complessivo di 2.253.612.233,79 euro.


Tabella aumento rimborsi elettorali partiti politici

cliccare sull'immagine per ingrandirla
 


 E pensare che il finanziamento pubblico ai partiti. introdotto con la legge n.195del maggio 1974,
era stato abrogato grazie 
a un referentum dei radicaliimpegnati da 30 anni sul fronte,
che con 31.225.867 voti su 34.598.906 votanti ottenne un consenso dell'90,3%
 
No, dico: e che problema c'è... Siamo in Italia! Avete abrogato il "finanziamento pubblico" ai partiti?

E noi introduciamo il "rimborso elettorale". 

Togliete il rimborso elettorale? 

E vorrà dire che approveremo la "donazione forfettaria".

Basta cambiare nome alle cose e il gioco va avanti. Questo è un paese di forma, non di sostanza. 
 
Così, senza neppure aspettare il tempo necessario a salvare la faccia, nello stesso anno del referendum si vara la legge 515/1993, che all'art.9, comma 1 cambia la rosa in patata - per dirla alla Shakespeare -, ovvero introduce i rimborsi elettorali, specificando che il rimborso non è calcolato in base alle spese effettive -non sia mai! -, ma moltiplicando il numero degli italiani quale risultava dall'ultimo censimento, compresi i non aventi diritti al voto (!!!), per 1.600 lire e spartendosi il montepremi in misura proporzionale ai risultati elettorali.
 
La seconda Repubblica inziava bene, non c'è che dire!

 Tutto qui? Illusi. Nel 1999 il Parlamento porta il rimborso da 1.600 a 4.000 lire. Poi, con il cambio di moneta, il contributo passa a 5 euro, da moltiplicarsi non più per tutti i cittadini della Repubblica, cani e gatti compresi, ma per il numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati, e solo per i partiti che abbiano superato una soglia di sbarramento dell'1%
 
In base a alla legge 5122/2006, poi, l'erogazione dei rimborsi è saldata in cinque comode rate annuali, che ovviamente sono indipendentementi dalla durata effettiva della legislatura. 

L'Udeur di Mastella, insomma, continua a percepire i rimborsi elettorali della tornata del 2006, e lo farà fino al 2011, mentre gli altri partiti, tra la XV e la XVI legislatura, percepiscono doppi rimborsi. Sono a posto, insomma, fino al 2013. 

 E io che mi credevo che una crisi di governo fosse un evento luttuoso per un partito: macchè! E' vero il contrario: quando ti servono un po' di soldi, fai tornare il paese alle urne e ti riempi le tasche.

  Ecco la classifica dei più furbacchioni: in testa, manco a dirlo, la Lega di Roma ladrona. Se Roma è ladrona, Umberto Bossi è il miglio ricettatore sulla piazza: spende 3,4 milioni e se ne fa dare 41,3, un bel +92% secco.




Grafico rimbrosi elettorali partiti classifica ladri
cliccare sull'immagine per ingrandirla


PARTITOSPESERIMBORSO
LEGA NORD€ 3.476.704€ 41.384.553+92%
ASSOCIAZIONI ITALIANE IN SUD AMERICA€ 35.282€ 383.148+91%
PARTITO DEMOCRATICO€ 18.418.044€ 180.231.506+90%
AUTONOMIE LIBERTE’ DEMOCRATIE€ 106.146€ 605.401+82%
MOV. PER L’AUTONOMIA ALL. PER IL SUD€ 880.697€ 4.776.891+82%
DI PIETRO - ITALIA DEI VALORI€ 4.451.296€ 21.649.227+79%
IL POPOLO DELLA LIBERTA’€ 68.475.143€ 206.518.946+67%
LA DESTRA - FIAMMA TRICOLORE€ 2.442.360€ 6.202.918+61%
VALLEE D’AOSTE€ 158.032€ 224.021+29%
UDC – UNIONE DI CENTRO€ 20.864.206€ 25.895.850+19%

 

 


 n.b. grazie a Luigi Bosco per l'elaborazione dei dati e per la bozza dell'articolo

 byoblu.com 

[Modificato da ReteLibera 01/11/2011 14:25]
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