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LA CHIESA HA ROTTO LE BALLE ! BASTA CON I PRIVILEGI DELLA CHIESA

Ultimo Aggiornamento: 07/12/2011 13:29
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Chiesa : LA CHIESA HA ROTTO LE BALLE ! 

BASTA CON I PRIVILEGI DELLA CHIESA 

Di seguito riporto una relazione completa sui furti che i nostri governanti infami permettono alla Chiesa di farci. 
 

Noi, in pochi, paghiamo TUTTE le tasse ed alcuni illuminati da un Dio
complice infame ci prendono soldi per finanziare una congrega di 400 mila nullafacenti che rompono le balle a tutti gli italiani. 
 

O credete che la battaglia per il divorzio si sia combattuta contro Fanfani e non contro corrotte ed indegne gerarchie di pretacci?  

O credete che la dura lotta per la 194 si sia combattuta contro clerico-fascisti della politica e non contro quei ridicoli personaggi in gonnellina e zucchetto ?  

O credete che la negazione della procreazione assistita sia volontà della povera Binetti che anche assistita non procreerebbe che mostriciattoli con una croce in fronte ?  

O credete ancora che la negazione del testamento biologico, dei PACS, di ogni scelta civile, dipenda dai Casini e Bindi qualunque e non da una Chiesa famelica del dolore altrui ?


Insomma solo Casini e Bindi, appunto, possono sostenere i privilegi della Chiesa con l'ipocrita giustificazione che la Chiesa aiuta tanti poveri. 
 

Che ne sanno questi privilegiati di sacrestia di cosa fa ciascuno di noi con i poveri e SENZA alcun beneficio, anzi, essendo massacrato dal governo e da Napolitano che va a Rimini a benedire gli infami ladroni rappresentati da
Lupi, Vittadini e Formigoni.

BASTA. Basta perché l'alternativa è vicina e consiste di tante croci ripiene di politici e preti.
Come diceva bene Francesco I si potrebbe arredare tutta la Via Appia da Brindisi a Roma,
come monito a tutti coloro che volessero ancora rompere le balle
con le violente interferenze della Chiesa nella vita civile di un popolo.

IO NON CREDO ALLE PANZANE DELLA CHIESA. NON CREDO ALLE SUE VIOLENZE E NON SOPPORTO PRIVILEGI PER ESSA.

I credenti si paghino il loro credo ed i loro culti non vengano ad imporli agli altri. E dietro quest'ultima affermazione vi è una enorme tolleranza. Convincetevene.


 

Privilegî economici e fiscali della Chiesa cattolica
Relazione di Silvio Manzati al convegno nazionale sulla laicità
tenuto a Verona il 14 ottobre 2006


da http://www.uaar.it/uaar/documenti/148.pdf


È difficile trovare qualcuno che non sia d’accordo con la laicità dello Stato.

Nell’incontro dello sorso anno tra Ciampi e Ratzinger, il Presidente della Repubblica
aveva riaffermato la laicità della Repubblica italiana e Ratzinger, poco diplomaticamente,
gli aveva precisato che doveva trattarsi di sana laicità.

Naturalmente, a stabilire quando la laicità sia sana sarebbe compito del papa cattolico,
perchè la distinzione tra laicità e sana laicità è tutta nella testa di Ratzinger e non ha
riscontro nella cultura giuridica e politica moderna.

Un’altra distinzione che appare continuamente nella stampa e nei discorsi cattolici è
quella tra laicità e laicismo. Tutto ciò che non corrisponde ai desideri ed agli interessi della
chiesa cattolica sarebbe laicismo e non laicità.

 

 Insomma, i laicisti sarebbero i laici cattivi.

C’è una grande nostalgia per quando vigeva una religione di Stato, che lo Stato doveva
prediligere, difendere, aiutare e incentivare.

Sulla stampa cattolica molto spesso abbiamo letto frasi come questa: “Laicità non
significa che per lo Stato una religione valga l’altra”. Il problema non è questo.

 

Lo Stato laico non entra nel merito delle religioni, non giudica se una religione valga più di un’altra,

come non giudica se le favole dei fratelli Grimm sono da preferire a quelle di Andersen o di Perrault.

Allo Stato laico non deve interessare che i cittadini siano atei o religiosi.

Non deve favorire né la diffusione dell’ateismo né la diffusione della religione, di qualsiasi religione.

Lo Stato laico non deve né favorire né ostacolare questa o quella concezione del mondo.

In modo particolare i soldi dello Stato non devono andare per propagandare concezioni
del mondo.

Nella nostra Costituzione sta scritto:

  “Stato e chiesa cattolica sono ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.  

Indipendenti, anche dal punto di vista economico.

Lo Stato laico chiede soldi ai propri cittadini per perseguire i propri scopi, tra i quali non
ci sono quelli religiosi, che appartengono all’altro ordine.

La chiesa cattolica chiede soldi ai propri fedeli per perseguire i propri fini siano essi religiosi o di altro tipo.

Non è lo Stato laico che deve dare soldi alla chiesa cattolica.  

Noi diciamo questo perché siamo laici e non anticlericali.

Clericali sono coloro che pretendono e coloro che favoriscono che un fiume di denaro pubblico,

alimentato da mille piccoli e grandi affluenti, vada direttamente o indirettamente alla chiesa cattolica.

Lo Stato laico non deve fare l’elemosiniere per conto della chiesa cattolica.

Non deve togliere soldi ai cittadini per darli alla chiesa cattolica.

O li lascia ai cittadini o li impiega per i propri scopi, tra i quali non rientrano quelli religiosi.

Noi queste cose possiamo affermarle con forza perché non ci presentiamo alle elezioni e
non rincorriamo il voto dei cattolici e la benevolenza delle gerarchie ecclesiastiche.


Non ci si dica che il nostro è qualunquismo. Noi comprendiamo la necessità dei partiti di
chiedere i voti su un programma politico complessivo e di evitare prese di posizione che
possano allontanare i voti, ma l’UAAR non ha di queste necessità. Ecco perché l’UAAR
difende la sua apartiticità e non aderisce a questo o a quello schieramento politico, pur
annoverando tra i propri iscritti molti aderenti a diversi partiti.

Sui privilegî economici e tributari della chiesa cattolica in Italia c’è un diffuso silenzio.

Non solo non vengono denunciati questi privilegi, ma proprio non se ne parla.

Non ci sono studi sistematici. Non ci sono approfondimenti giornalistici.

Mamma Rai, che tanto spazio dà al Papa, ai cardinali e ai vescovi, non dedica trasmissioni al fiume di soldi che dalle finanze pubbliche travasa nelle casse della chiesa cattolica.

L’argomento, forse, di cui si sa di più è quello dell’8 per mille, ma anche qui la chiarezza
è poco diffusa. Con l’8 per mille lo Stato italiano regala alla chiesa cattolica circa
un
miliardo di euro all’anno
.

 

Qualcuno crede che questi soldi vadano allo Stato Città del Vaticano.

 

Come tutti voi sapete, invece, quel miliardo di euro va alla Cei, alla Conferenza
episcopale italiana
, cioè alla chiesa cattolica italiana.

Non bisogna confondere lo Stato Città del Vaticano con la chiesa cattolca italiana, anche
se la chiesa cattolica italiana è rigidamente subordinata allo Stato Città del Vativano.

Credo che la Conferenza episcopale italiana sia l’unica conferenza episcopale nazionale
che non elegge il proprio presidente, che è invece nominato dal Papa.

I due Patti lateranensi hanno funzioni diverse:

Il Trattato regola i rapporti tra Stato italiano e Stato Città del Vaticano.

Il Concordato regola i rapporti tra Stato italiano e chiesa cattolica italiana,

rappresentata dalla Cei, Conferenza episcopale italiana.

Il Concordato è la base dei privilegî di cui gode la chiesa cattolica italiana e in modo particolare dei privilegî economici e tributari. Ma vi sono miliardi di euro che la finanza pubblica passa alla chiesa cattolica indipendentemente dal Concordato, cioè per scelta politica di forze politiche che si collocano prevalentemente nel centro-destra ma anche di forze politiche che si collocano nel centro-sinistra.

L’UAAR è per l’abolizione del Concordato, pur nella consapevolezza che si tratta di un
obiettivo di non breve periodo.

 

Vi sono molti stati nel mondo, liberi e liberali, che non hanno il concordato,

dalla Francia agli Stati Uniti d’America.

C’è un fiume di denaro pubblico che va alla chiesa cattolica italiana, ma qualche regaluccio
viene anche fatto allo Stato Città del Vaticano.

 

 Vorrei ricordare la questione delle acque pulite e delle acque sporche di questo Stato e non in senso metaforico. L’ articolo 6, 1° comma, del Trattato del Laterano del 1929 stabiliva:

 “L’Italia provvederà a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati che alla Città del Vaticano sia assicurata un’adeguata dotazione di acque in proprietà”.  

Il comma non precisa se gratuitamente o a pagamento.

Naturalmente, la Santa Sede e gli inginnocchiati governi italiani hanno dato l’interpretazione della gratuità.

 

Nel 2000 il settimanale L’Espresso (numero del 2/11/2000) informava che «la Santa Sede non ha mai pagato una lira per il consumo annuo di circa 5 milioni di metri cubi di acqua.

 

Una quantità sufficiente per dissetare 60 mila persone, ma utilizzata in gran parte per innaffiare i lussureggianti giardini vaticani».

Nel 1929, quando Mussolini e il cardinal Gasparri firmarono il Trattato del Laterano, non
si parlò dell’eliminazione delle acque di scarico, che fino agli anni Settanta confluivano nel
Tevere senza alcun trattamento preliminare.

 

 Poi, il Comune di Roma costruì le vasche di depurazione.

 

Lo Stato Città del Vaticano si avvalse di questo servizio, senza mai pagare le bollette al comune di Roma.

 Gli arretrati avevano raggiunto nel 1999 la somma di 44 miliardi di lire.  

Quando l’azienda municipalizzata di Roma, l’Acea, è stata quotata in Borsa, gli azionisti hanno reclamato il pagamento delle «bollette arretrate».

 La Santa Sede fece orecchie da mercante.  

Il ministero dell’Economia si assunse l’onere di saldare il debito della Santa Sede, ottenendo in cambio la garanzia – per il futuro – del pagamento regolare da parte del Vaticano del servizio di smaltimento delle acque di scarico, il cui costo era di circa 2 milioni di euro l’ anno (secondo l’agenzia Adista, 22/11/2003).

Il Vaticano, però non pagò niente.

 

Intervenne l’uomo di turno della divina provvidenza nella persona dal senatore di Forza Italia Mario Ferrara il quale propose un emendamento alla legge finanziaria 2004, che divenne un comma dell’art. 3.

 

Questa norma ad ecclesiam prevedeva lo stanziamento di «25 milioni di euro per l’anno 2004 e di 4 milioni di euro a  decorrere dall’anno 2005» per dotare il Vaticano di un sistema di acque proprio.

 

Da notare che lo Stato Città del Vaticano è molto ricco di valori mobiliari e immobiliari e non avrebbe bisogno di questi regali promossi da Forza Vaticano.

Ogni anno nella legge finanziaria c’è qualche norma ad ecclesiam.

 

Come ricorderete l’anno scorso ci fu quella per l’Ici. L’Ici è l’imposta comunale sugli immobili.
Il problema che si pose l’anno scorso era questo:

 la chiesa cattolica deve pagare l’Ici per gli immobili nei quali svolge attività commerciale?  

Il problema venne alla ribalta grazie al comune di Ancona e alle suore Zelatrici del Sacro Cuore del medesimo comune.
Le Suore Zelatrici del Sacro Cuore di Ancona hanno degli immobili nei quali
svolgono a
pagamento
attività sanitaria (casa di cura) e attività ricettiva (pensionato per donne
anziane e studentesse universitarie), cioè esercitano attività commerciali.

Le Suore Zelatrici non sono molto zelanti con il fisco e non hanno mai presentato al comune di Ancona

la denuncia ai fini dell’Ici perché ritengono (in armonia e in fedele obbedienza a quanto dice la Cei)

che le attività che vi svolgono siano incluse tra quelle esenti dall’imposta perché loro sono un ente ecclesiastico.

 

Nel 1995 il comune notifica un avviso di accertamento Ici e reclama il versamento dell’imposta per tutti gli anni compresi tra il 1993 e il 1998.

 L’istituto religioso ricorre alla Commissione Tributaria Provinciale, che gli dà torto.  Contro la decisione di prima istanza l’ente religioso ricorre in secondo grado, dove pure gli viene dato torto.  

Le Suore Zelatrici del Sacro Cuore ricorrono alla Corte di cassazione, che decide la vertenza con quattro sentenze nel marzo del 2004 (cf Sentenza 4573, 4642, 4644 e 4645).

 

La Cassazione dice che le suore devono pagare l’Ici per gli immobili nei quali svolgono attività commerciale.

Succede il finimondo. Cei, diocesi, stampa cattolica nazionale e diocesana insorgono
contro questa eresia fiscale, che farebbe pagare gli enti ecclesiastici centinaia di milioni o
miliardi di euro (con gli arretrati) ai comuni.


L’interpretazione data alla legge fiscale dal comune di Ancona, dalle commissioni
tributarie e dalla cassazione non sarebbe canonica, non sarebbe ortodossa.

 

La retta dottrina è stata finora seguita dalla generalità dei comuni, tant’è che i casi di controversia sono più
unici che rari, dice la Cei.

 

Secondo la Cei, preti, frati, suore, diocesi, parrocchie, congregazioni religiose et similia dovrebbero pagare l’Ici soltanto per gli immobili che danno in affitto a terzi. Sul restante immenso patrimonio immobiliare, niente.

C’è un libraio che esercita l’attività in suo immobile; a trecento metri c’è la libreria delle
suore paoline. La chiesa cattolica pretende che il libraio paghi l’Ici e che le suore paoline ne
siano esenti.
 

In una provincia c’è una casa di cura di proprietà di una Spa o di una Srl e c’è un ospedale del Sacro Cuore che fa capo alla congregazione dei Poveri servi della Divina Provvidenza.

Le due strutture sanitarie hanno le stesse tariffe e le stesse convenzioni con la regione. La chiesa cattolica pretende che la casa di cura che fa capo alla società paghi l’Ici e che l’ospedale che fa capo alla congregazione religiosa ne sia esente.

La laicità dello Stato, che comporta la non discriminazione in base alla professione religiosa, vorrebbe che libraio e suore paoline pagassero o non pagassero l’Ici alla stessa maniera, che l’ospedale della spa e quello dei Poveri servi della Divina Providenza pagassero o non pagassero l’Ici alla stessa maniera.  

La chiesa cattolica, invece, è contro la laicità dello Stato.

Dalla Cei veniamo a sapere che gli enti religiosi non facevano la denuncia dell’Ici per gli immobili in cui svolgevano l’attività commerciale e che la generalità dei comuni non faceva alcun accertamento.

 

Il comune di Ancona costituiva un’eccezione, una mosca bianca, retto probabilmente da persecutori della chiesa cattolica, alla caccia di martiri fiscali.

Con la sentenza della Cassazione si era aperta una breccia pericolosa per la chiesa cattolica e così il governo Berlusconi viene piamente sollecitato a fare qualche cosa.

 

Il governo emana un decreto legge sulle infrastrutture (il 163/2005) e vi inserisce un articolo 6 che con le infrastrutture non ha nulla a che vedere, ma parecchio con gli interessi della chiesa cattolica.

 

Nel caso specifico il governo intendeva chiarire la portata di una delle norme di esenzione previste dall’articolo 7 del decreto legislativo 504 del 1992 – quello istitutivo dell’ICI – affermando che tale norma

 “si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222, pur se svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto”.  E chi è che decide se vi è connessione con finalità di religione o di culto?  Naturalmente la chiesa cattolica.
Per questo attentato alla laicità dello Stato si è ricorsi al decreto legge.  La Costituzione stabilisce che il decreto legge è uno strumento per emanare norme giuridiche in casi
eccezionali di necessità e urgenza. Una persona sana di mente pensa che non vi sia nessuna necessità e urgenza di ampliare i privilegî della chiesa cattolica e che, eventualmente, vi sia necessità e urgenza di far pagare le tasse a preti, frati, suore, vescovi, come avviene per tutti gli altri cittadini.

Nel mese di ottobre dello scorso anno una parte dell’opinione pubblica e della stampa reagì scandalizzata.

 

La chiesa cattolica, candidamente, rispondeva che in fondo la norma del decreto legge era soltanto l’interpretazione autentica di un’esenzione in vigore da dodici anni. Il decreto legge fu convertito dal Senato con una maggioranza che andava ben oltre quella berlusconiana. Il provvedimento, poi, non fu presentato alla Camera e decadde.

Poco dopo, la stessa norma fu inserita nella legge finanziaria e il regalo alla chiesa cattolica fu confezionato.

Il mancato gettito annuale per i comuni é stato calcolato nell’ordine dei 300 milioni di euro

(la Repubblica, 8/10/2005).

 

In realtà, se la chiesa cattolica pagasse l’Ici ai comuni come una qualsiasi spa per il suo immenso patrimonio immobiliare, dovrebbe pagare alcuni miliardi di euro.

 Ma c’è di mezzo il concordato.

Che cosa dice il concordato in campo tributario?  

In materia, dispone il terzo comma dell’art. 7:

 

“Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopo, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”.

Osservava acutamente Pietro Bellini, professore emerito di Storia del diritto canonico all’Università

“La Sapienza” di Roma, che il provvedimento che estendeva l’esenzione Ici per la chiesa cattolica innovava «la disciplina concordataria per quello che riguarda il regime tributario». Osservava il prof. Bellini che la norma in questione «paradossalmente va proprio contro il sistema concordatario. Dico paradossalmente perché c’è una modifica del Concordato da parte dello Stato, peraltro in favore della Chiesa, che avviene nelle forme non previste dallo stesso Concordato. Il quale, essendo “protetto” dalla Costituzione, non può essere modificato se non nelle forme previste dalla Costituzione stessa, cioè attraverso un accordo tra le parti» (Ansa, 7/10/2005; Adista, 7/10/2005).

La Cei obietta che a godere dell’esenzione saranno anche le organizzazioni no-profit e tutte le Chiese con cui lo Stato ha stretto un’intesa: Chiesa cattolica, Tavola valdese, Unione delle Chiese avventiste del settimo giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle comunità ebraiche in Italia, Unione cristiana evangelica battista d’Italia e Chiesa evangelica luterana in Italia, ma si tratta in realtà della foglia di fico che serve a coprire questa scandalosa esenzione per gli immobili della chiesa cattolica.

In Italia ci sono centinaia e centinaia di conventi un tempo pieni di preti, frati e suore, che sono stati trasformati in esercizi ricettivi, alberghi, pensionati, ostelli o comunque siano chiamati, sempre a pagamento.

 Svolgono attività commerciale e sono esenti dall’Ici.

Oppure pensiamo alla conclamata centralità della famiglia.  La casa dove abitano le famiglie é soggetta all’Ici, la casa dove abita il parroco pretendono che sia esente, con la motivazione che è una pertinenza dell’edificio di culto.  Laicità vorrebbe che il parroco pagasse l’Ici come qualsiasi altro single.

Ogni anno nella legge finanziaria troviamo norme ad ecclesiam con le quali si regalano fior
di milioni a strutture cattoliche.
 

Ad esempio, la Finanziaria 2004 prevedeva uno stanziamento di 20 milioni di euro per il 2004 e 30 milioni per il 2005 da destinare all’Università Campus Bio-Medico. L’Università Campus Bio-Medico si

autodefinisce “opera apostolica della Prelatura dell’Opus Dei”, che “intende operare in piena fedeltà al
Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del valido fondamento del sapere umano, poiché l’autentico progresso scientifico non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione (che ha la capacità di riconoscere la verità) e la fede hanno origine nello stesso Dio, fonte di ogni verità”.

La Finanziaria del 2005 prevedeva inoltre un finanziamento di 15 milioni di euro per il Centro San Raffaele del Monte Tabor di don Luigi Verzè, detto Sua Sanità, «in considerazione del rilievo nazionale e internazionale nella sperimentazione sanitaria di elevata specializzazione e nella cura delle più rilevanti patologie».

 

Poi non ci sono soldi per la ricerca nelle università statali e molti giovani ricercatori sono costretti a chiedere asilo scientifico all’estero.

Una legge ad ecclesiam è stata la n. 293 del (23 ottobre) 2003, con la quale il parlamento aveva conferito riconoscimento legislativo all’Istituto di studi politici San Pio V e ne approvava il finanziamento per una cifra pari a 1,5 milioni di euro annui. L’istituto ha sede a Roma in piazza Navona e ha promosso la creazione della Libera università degli studi San Pio V controllata, insieme all’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, dalla Congregazione dei Legionari di Cristo (Adista, 22/11/2003).

 

Alla cerimonia per l’inaugurazione dell’università – il 14 ottobre 2004 – hanno partecipato sia il
sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, sia il governatore della Banca d’Italia
Antonio Fazio.

Nella finanziaria 2005 al comma 206 spunta un finanziamento di 1 milione di euro «allo scopo di promuovere il potenziamento della strumentazione tecnologica e l’aggiornamento della tecnologia impiegata nel settore della radiofonia». Rispetto ai soggetti che possono usufruire del contributo si rimanda al comma 190 della Finanziaria dell’anno precedente.

 

Le uniche due emittenti che, guarda caso, rispondono all’identikit previsto dalla legge sono Radio Padania Libera, la radio della Lega Nord, e Radio Maria.

È mai possibile che tu giri in auto l’Italia e ovunque capti Radio Maria e hai difficoltà
spesso a ricevere radio Rai 3?

E non parliamo della Rai. Alle volte c’è da chiedersi se siamo sintonizzati sulla radiotelevisione vaticana o sulla radiotelevisione italiana.

 

Abbiamo assistito l’anno scorso all’orgia mediatica dell’agonia, morte, funerale ed elezione papale.

 

Quest’orgia mediatica è stata una delle cause che hanno portato al raddoppio, anzi quasi a triplicare le iscrizioni all’UAAR.

 

Ciò non significa che noi ci auguriamo che ogni anno ci sia l’agonia, la morte, il funerale e l’elezione del papa. Il problema è la sovraesposizione mediatica di tutti gli eventi che riguardano la chiesa cattolica.

 

Anche questa è una questione di laicità.

Per chi non ne fa parte, la chiesa cattolica appare come una grossa macchina per il reclutamento e il mantenimento dei propri aderenti. La chiesa cattolica impiega grandi risorse umane e materiali per autoriprodursi.

 

A noi che siamo all’esterno, anche i suoi servizi sociali e umanitari appaiono strumentali a questo fine.

>>> CONTINUA>>>>

[Modificato da ReteLibera 22/08/2011 19:10]
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Nonostante i grandi sforzi impiegati, la presa della chiesa cattolica diminuisce progressivamente:

calo delle c.d. vocazioni, aumento dei matrimoni civili, percentuale dei praticanti sempre più bassa, diminuzione di coloro che si avvalgono dell’insegnamento dell’ora di religione.

Prendiamo atto di questi fenomeni, ai quali corrispondono sempre maggiori spettacolarizzazioni di massa, magari a spese pubbliche, come avviene a Verona per il convegno ecclesiale nazionale.

Laicità vorrebbe che l’opera di indottrinamento e di reclutamento da parte di una confessione religiosa non avvenisse a spese dello Stato. Per attenuare e addolcire, si parla di educazione o di formazione religiosa.

Ma quando siamo di fronte a bambini e a giovani appare più realistico parlare di indottrinamento e reclutamento.

In Italia, in base al famigerato Concordato, abbiamo l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche con insegnanti scelti dai vescovi e pagati dallo Stato.

 

Gli insegnanti di religione cattolica sono di fatto funzionari della chiesa cattolica, anche se giuridicamente sono funzionari dello Stato, anzi messi in ruolo con una corsia preferenziale.

 

La legge per l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione è stata approvata nell’agosto del 2003 durante il governo Berlusconi, con l’appoggio di Margherita e Udeur.

È un altro 8 per mille che lo Stato dà alla chiesa cattolica, anzi di più dell’8 per mille. L’8 per mille dato alla chiesa cattolica corrisponde a circa un miliardo di euro.  

Lo stipendio diretto e indiretto per i 35.000 insegnanti di religione passa di molto il miliardo di euro
all’anno.
Lo stipendio ai professori di religione è un regalo indiretto alla chiesa cattolica.

Lasciamo da parte, poi, i diritti degli insegnanti di religione che non devono essere divorziati o madri nubili o essere in analoghe situazioni peccaminose.

Il mantenimento pubblico di questo esercito di propagandisti della fede non basta.  

In Italia c’è, poi, il finanziamento pubblico della scuola cattolica, pardon, scuola privata.

 

Ma in Italia dire scuola privata significa dire scuola cattolica. La stragrande maggioranza delle
scuole private italiane, infatti, o é direttamente gestita da un qualche ordine religioso o si ispira comunque all’educazione cattolica.

 

In materia l’articolo 33 della nostra Costituzione è diventato carta straccia.

 

Ricordate?

 “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.  

Alla scuola privata italiana arriva un fiume di denaro appartenente ai contribuenti attraverso mille rigagnoli il cui percorso è arduo seguire: contributi statali, finanziamenti a singoli progetti, buoni scuola alle
famiglie, sussidi regionali e di altri enti locali.

A livello statale i principali canali attraverso cui le scuole «non statali» ricevono denaro pubblico sono:

i sussidi diretti alle scuole sotto forma di contributi per la gestione delle scuole (dell’infanzia e primarie) e di finanziamenti di progetti «finalizzati all’elevazione di qualità ed efficacia delle offerte formative» (per le scuole medie e superiori) e i contributi alle famiglie (i cosiddetti buoni scuola) per le scuole di ogni ordine e grado.

Nel finanziamento alla scuola privata, cioè cattolica, non c’è da fare molta distinzione a seconda dell’orientamento politico, di centro-destra o di centro-sinistra.

Nel 1999 l’allora ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer, emanava due decreti

(dm 261/98 e dm 279/99) poi coordinati in un unico testo che aveva per esplicito oggetto

la «concessione di contributi alle scuole secondarie legalmente riconosciute e pareggiate».

Con l’approvazione della legge sulla parità scolastica, la n. 62 del 2000 (siamo all’epoca del governo D’Alema) le scuole private entrano a far parte a pieno titolo del sistema di istruzione nazionale e pertanto da questo momento in poi devono essere trattate «alla pari», anche sul piano economico.

 

La legge istituiva di fatto i buoni scuola statali, per i quali stanziava 300 miliardi annui di vecchie lire a decorrere dal 2001. Il dm 27/2005 della ministra Letizia Brichetto in Moratti non parla più di «concessione di contributi» ma esplicitamente di «partecipazione alle spese delle scuole secondarie
paritarie».

Per il 2005 i «contributi alle scuole non statali» (circolare ministeriale n. 38 del 22 marzo 2005)

ammontano complessivamente a poco meno di 500 milioni e 500 mila euro.

 

Come se non bastasse per il 2005 sono stati finanziati con un milione di euro progetti di
«formazione del personale preposto alla direzione delle scuole paritarie» (circolare n. 77
del 14 ottobre 2005).

I cosiddetti buoni scuola sono dei contributi destinati alle famiglie a parziale o totale copertura delle spese di iscrizione dei figli alle scuole. Il buono scuola statale per il 2005 è stato di 353 euro per l’iscrizione alle scuole primarie paritarie, 420 euro per l’iscrizione alle scuole medie paritarie e di 564 per l’iscrizione al prima anno delle scuole superiori paritarie.

Le iscrizioni alle scuole cattoliche che, almeno qui nel Veneto, stavano subendo una progressiva diminuzione, grazie ai buoni scuola hanno invertito la tendenza.

 I buoni scuola costituiscono un finanziamento indiretto delle scuole cattoliche.

Poiché la legge sulla parità scolastica non fa alcun cenno all’eventuale incompatibilità dei buoni scuola statali con quelli regionali, si è creato un sistema a doppio regime: nelle regioni che lo prevedono, le famiglie possono ricevere sia il buono scuola nazionale che quello regionale.

 

È il caso, per esempio, del Veneto, regione antesignana in fatto di buoni scuola.

 

Con la legge regionale n. 1 del 2001 il Veneto ha istituito i buoni scuola da destinare alle famiglie degli studenti iscritti alle scuole statali e paritarie. La regione stabilisce però che «il contributo può essere concesso solo qualora la spesa sostenuta sia uguale o superiore a euro 200».

Poiché le tasse di iscrizione alle scuole statali non superavano di solito quella cifra, l’intero ammontare del fondo messo a disposizione dalla regione andava di fatto nelle tasche delle famiglie che decidevano di iscrivere i propri figli alle scuole private, che ricevono, a seconda del reddito e del tipo di scuola, dai 310 ai 1.300 euro cumulabili con il buono statale.

Gli oratorî parrocchiali sono sempre stati uno strumento per il reclutamento infantile e giovanile.  

Alcuni o molti di noi, da piccoli, hanno frequentato l’oratorio. L’oratorio era percepito come un luogo in cui si andava a giocare e dove si incontravano altri bambini. Il periodo era quello delle elementari, qualche volta si prolungava alle medie. Poi, per lo più, alle superiori c’era la fuga dalla parrocchia.

Qualche volta appariva in cortile il prete che faceva interrompere il gioco perché c’era una qualche riunione, che iniziava con la preghiera e un coro che parlava del Bianco Padre che da Roma ci guidava e finiva con “al tuo cenno, alla tua voce un esercito all’altar”.

 L’oratorio non era un servizio per i bambini o per le famiglie, era uno strumento per il reclutamento infantile.  Le cose sono sempre state chiare. Poi, è intervenuta l’ipocrisia della legge.

Nella passata legislatura venne fatta addirittura una legge per gli oratorî, non tanto per disciplinarli,

che non è compito dello Stato, quanto per foraggiarli, che non sarebbe neppure un compito dello Stato laico. Il 1° agosto del 2003 venne approvata la legge sugli oratorî, sul modello di alcune leggi regionali già introdotte dalle giunte di centro-destra di Lazio, Lombardia, Abruzzo, Piemonte e Calabria.

 

Attraverso questa legge «lo Stato riconosce e incentiva la funzione educativa e sociale svolta nella comunità locale, mediante le attività di oratorio o attività similari, dalle parrocchie e dagli enti ecclesiastici della Chiesa Cattolica, nonché dagli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha
stipulato un’intesa».
Si aggiungono sempre le altre confessioni religiose come foglia di fico
per coprire questo scandaloso privilegio costruito per la chiesa cattolica.


Questo riconoscimento implica innanzitutto che lo Stato, le regioni e gli enti locali possano concedere in comodato (cioè a titolo completamente gratuito) beni mobili e immobili di loro proprietà. Inoltre la legge prevede 1’esenzione dall’Ici dei locali dell’oratorio quali «opere di urbanizzazione secondaria».

 

Il mancato introito da parte dei comuni di questi fondi, calcolato dalla legge pari a 2,5 milioni di euro annui, viene coperto dallo Stato.

  Ulteriori e più specifiche agevolazioni o finanziamenti da prevedere ai fini del riconoscimento delle attività dell’oratorio sono rimandati dalla legge nazionale alle Regioni.

La legge ha ricevuto un consenso bipartisan da parte di tutte le forze politiche, a eccezione di Comunisti italiani e Rifondazione. Siamo di fronte a un esempio tipico della omertosa sudditanza del mondo politico nei confronti della chiesa cattolica.

 

Alla Camera, per la precisione, la legge è stata approvata con i voti della destra e di gran parte della
sinistra (404 voti favorevoli, 19 voti contrari di R.C. e Pd C.I, 14 astenuti compreso il gruppo dello SDI). Nell’occasione DS e Verdi hanno sottolineato come la legge «rispetti i diversi orientamenti filosofici, culturali e religiosi della società» e il «principio di laicità  dello Stato».

 

Il senatore della Margherita Pierluigi Petrini ha dichiarato che «il provvedimento svolge una funzione sociale non solo nei confronti dei soggetti considerati deboli, in grave stato di necessita ed emarginazione, ma si rivolge alla comunità nel suo insieme, partendo dalla considerazione che ciascuno di noi può attraversare nel corso della vita momenti difficili» (Ansa, 15/5/2003).

 

Secondo la deputata dei Verdi Luana Zanella si tratta invece di «una norma innovativa per valorizzare quanti nel territorio intervengononella promozione umana e sociale» (Ansa, 19/6/2003).

In Puglia i finanziamenti agli oratori hanno dato luogo a un filone giudiziario.  

Durante la campagna elettorale per le regionali del 2005 l’arcivescovo di Lecce, Cosmo Francesco
Ruppi
, avrebbe offerto – secondo l’accusa – appoggio politico all’allora presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto, in cambio dell’impegno di quest’ultimo a far approvare dalla Regione Puglia il provvedimento con il quale venivano finanziati gli oratorî della chiesa cattolica pugliese.

 

A tal fine, la giunta Fitto approvò due delibere per complessivi 74 milioni di euro: la prima, l’11 marzo 2005, quindici giorni prima delle elezioni regionali; e la seconda il 15 aprile 2005, due settimane dopo la sconfitta elettorale, mentre Fitto era ancora in carica per l’ordinaria amministrazione, in attesa dell’insediamento del nuovo presidente Nichi Vendola.

Veniamo a un altro capitolo di funzionari della chiesa cattolica stipendiati dallo Stato in
base al famigerato concordato.

L’art. 11 del concordato stabilisce al primo comma che “La Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici”.

 

Fin qui niente da ridire. Si tratta di un’esplicazione particolare della libertà religiosa garantita dalla
Costituzione, indipendentemente dal Concordato.

Sul comma secondo, però, c’è da ridire. Stabilisce:

 “L’assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiatici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell’autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabiliti d’intesa fra tali autorità”.  

Siamo di fronte alla tipica ipocrisia del linguaggio di loro eminenze. La propaganda religiosa diventa assistenza spirituale. Uno potrebbe pensare, laicamente, che l’assistenza spirituale sia l’assistenza psicologica, ma la laurea in teologia non è sicuramente un titolo che garantisca una preparazione specifica per aiutare nel benessere psichico.

 

Comunque, non è compito dello Stato laico assicurare l’assistenza religiosa a chicchessia.

 

La chiesa cattolica ha preteso e pretende che ci siano suoi funzionari pagati dallo Stato perché facciano propaganda, pardon assistenza religiosa.

I cappellani sono funzionari della chiesa cattolica pagati dallo Stato italiano per perseguire finalità proprie della chiesa cattolica.

Ci sono, poi, varie convenzioni per stabilire numero e retribuzione dei cappellani militari, nella Polizia di Stato, nelle carceri, negli ospedali. Non so se ci siano anche per i vigili del fuoco, per i vigili urbani e per la nettezza urbana.

Per la Polizia di Stato c’è una convenzione tra ministro dell’interno e Cei.  

Nella Polizia di Stato c’è un cappellano per ogni questura.

 

Poi ci sono cappellani presso alloggi collettivi di servizio e presso istituti di istruzione.

 

Al vertice si trova il cappellano coordinatore nazionale.

 

Il cappellano “cura la celebrazione dei riti liturgici, la catechesi, specie in preparazione ai sacramenti, la formazione cristiana, nonché l’organizzazione di ogni opportuna attività pastorale e culturale”, dice la convenzione tra lo Stato, che dovrebbe essere laico, e la chiesa cattolica.

 In modo particolare il cappellano cura la celebrazione annuale della festa di San Michele Arcangelo, questa fantasiosa entità che la chiesa ha posto a protezione della Polizia di Stato.

Per le Forze armate c’è una convenzione tra ministro della difesa e Cei.  

I cappellani militari sono circa 200 e fanno capo all’ordinario militare che ha il grado di vescovo.

Per le carceri c’è una convenzione tra ministro di grazia e giustizia e Cei.  

Alcune centinaia sono anche i cappellani nelle carceri.

Per gli ospedali ci sono protocolli d’intesa tra il presidente della Regione o l’assessore alla
sanità e la Conferenza episcopale regionale o interregionale.
 

Il protocollo d’intesa della regione Lombardia, ad esempio, prevede che per ogni ente gestore (con questo termine si intendono le «aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e, in generale, tutte le altre
strutture sanitarie pubbliche e private accreditate») «deve essere previsto almeno un assistente religioso».

 

 In strutture con più di 300 posti letto gli «assistenti religiosi» saranno due.

Oltre i 700 posti letto saranno uno ogni 350.

 

Quanto alla copertura degli oneri finanziari del servizio, l’articolo 7 comma 2 dell’Intesa afferma esplicitamente che «gli assistenti religiosi sono assunti dall’ente gestore, su designazione dell’ordinario diocesano, con contratto di natura indeterminata, a tempo pieno o parziale».

 

 Inoltre l’ente gestore deve assicurare «spazi idonei per le funzioni di culto (chiesa o cappella e sacrestia), per l’attività religiosa relativa ai servizi mortuari, ad uso ufficio, per gli assistenti religiosi ed i loro collaboratori, con relativi arredi, attrezzature ed accessori», e mettere a disposizione degli assistenti religiosi «un alloggio, adeguatamente arredato, di regola ubicato all’interno della struttura di ricovero o comunque comunicante con la stessa» (rispettivamente commi 1 e 2, art. 10). Infine, «le usuali spese di culto, nonché quelle di conservazione degli arredi, suppellettili e attrezzature occorrenti per il

funzionamento del servizio, la manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi in uso, le pulizie (escluse
quelle dell’alloggio, se esterno alla struttura), nonché le spese di illuminazione e riscaldamento di tutti i locali adibiti al servizio di assistenza religiosa, sono a carico dell’ ente gestore» (comma 4, art. 10).

A ogni legge finanziaria i comuni si lamentano per i tagli che vengono operati nei loro confronti.  

Le risorse dei comuni sono sempre insufficienti rispetto ai loro compiti.

Se i comuni non fossero obbligati a fare regali alla chiesa cattolica forse le cose andrebbero meglio.

 

Alle volte, troppo spesso, i comuni (come pure le province e le regioni) fanno regali per propria scelta.

 I soldi che vanno alla chiesa cattolica sono servizi sottratti alle fasce più povere dela popolazione.  Forse, è per questo che talora la chiesa cattolica si definisce chiesa dei poveri.

Abbiamo visto la scandalosa esenzione dell’Ici, regalo indiretto di miliardi di euro.

Vediamo, adesso, il diretto regalo, obbligatorio per legge, di altri miliardi di euro con il
meccanismo degli oneri di urbanizzazione.

Gli oneri di urbanizzazione sono stati introdotti dalla legge legge 28 gennaio 1977, n. 10,
c.d. “legge Bucalossi”.

 

La materia è oggi regolata dal decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380, contenente il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

Gli oneri di urbanizzazione sono contributi, dovuti ai Comuni, da coloro che realizzano interventi di costruzione e di trasformazione edilizia. Il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione.

 

Gli oneri di urbanizzazione sono dovuti a titolo di partecipazione alle spese che i Comuni sostengono per l´urbanizzazione del loro territorio.

Si distinguono in oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.  

Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi a questi interventi: strade residenziali, spazi di sosta
o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.

 

Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ad altri interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere,
delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie.

I comuni sono obbligati a versare l’8 per cento (si badi, non l’8 per mille) degli oneri ricevuti per l’urbanizzazione secondaria per le chiese.  

Cito per tutti il caso della legge regionale lombarda n. 12 del 2005 che, in un apposito articolo, obbliga i Comuni a versare l’8 per cento dei proventi degli oneri di urbanizzazione secondaria agli “enti
istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica”.

 

La possibilità che altre confessioni possano accedere ai finanziamenti previsti è limitata dalla richiesta di
«una presenza diffusa, organizzata e stabile nell’ambito del comune» e dai criteri di ripartizione, basati sulla «consistenza e incidenza sociale delle rispettive confessioni» (artt. 70 e 72).

L’obbligo esiste in tutte le regioni, per tutti i comuni d’Italia.  Ogni anno alcuni miliardi di euro passano dalle casse comunali a quelle della chiesa cattolica, anche là dove c’è carenza di asili nido e di scuole materne, che pure riguardano l’urbanizzazione secondaria, mentre non c’è carenza di chiese cattoliche, anzi c’è abbondanza. 

 Ormai in Italia il numero delle chiese è eccessivo rispetto al numero di cittadini che le frequentano e non c’è più bisogno di costruirne ancora.

 

Molte rimangono chiuse il maggior numero dei giorni della  settimana, del mese o dell’anno.

 

Da notare che anche quelle non usate o poco usate sono esenti dall’Ici.

 

Alcune vengono aperte un giorno all’anno per la festa del santo al quale sono dedicate.

 Basterebbe nella finanziaria un piccolo comma per disporre che quest’obbligo è abrogato e i comuni avrebbero più disponibilità, o meno carenza, per soddisfare bisogni collettivi veri e più importanti.

 Credo che questo 8 per cento sia ben più pesante dell’8 per mille.  

Non mi risulta che siano mai stati fatti i conti di quanto sia l’ammontare complessivo in Italia o che,
comunque, sia stato diffuso attraverso i mezzi di comunicazione.

L’8 per mille è stato introdotto a seguito del concordato del 1984 e frutta alla chiesa cattolica circa un miliardo di euro all’anno; è il più noto dei canali attraverso i quali il denaro pubblico va a finanziare questa confessione religiosa.

Più precisamente, l’8 per mille è disciplinato dalla legge 222/1985, che dà esecuzione al concordato peggiorando gli obblighi finanziari dello Stato e migliorando i vantaggi economici della chiesa cattolica rispetto al precedente concordato.

Prima di questa legge lo Stato pagava lo stipendio al clero diocesano cattolico. Se avesse continuato così, diminuendo il clero (come sta di anno in anno diminuendo) sarebbe diminuito anche il peso economico per lo Stato.

 

Con il Concordato del 1984 si è passati dal pagamento dello stipendio ai singoli preti al finanziamento della chiesa cattolica italiana in quanto tale.

 

Per stare nel concreto, della somma che la Cei riceve con l’8 per mille neppure il 40% va per il sostentamento del clero.

La Cei fissa annualmente il reddito mensile minimo per tutti i sacerdoti diocesani. Se non
vi arrivano con i propri mezzi, la Cei integra con i proventi dell’8 per mille.

 

Nel 1999 3.200 preti sono stati autosufficienti, solo 103 sono stati a pieno carico della Cei, 36.509 hanno
ricevuto un’integrazione.

Perché ai preti cattolici deve essere garantito un reddito mensile minimo e agli altri cittadini italiani no?  È questa la sana laicità di cui parla Ratzinger?

L’otto per mille (OPM) fu ideato dalla Commissione paritetica chiamata a stilare la bozza della legge che doveva regolamentare le questioni economiche e finanziarie fra le Parti.

 

La delegazione cattolica era capeggiata da mons. Nicora, poi vescovo di Verona; attualmente è cardinale e presiede l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), il secondo ufficio finanziario del Vaticano. Viene dopo lo IOR, reso famoso da Marcinkus e dai suicidi di Sindona e Calvi.

L’unico scopo dell’OPM è quello di garantire il finanziamento statale alla Chiesa cattolica come tale.

 

A tanto non si era spinto il Concordato del 1929 che, pur riconoscendo a questa numerosissimi privilegî non la finanziava direttamente, ma si limitava a pagare lo stipendio (congrua) ai preti titolari di una parrocchia.

Molti credono, con la propria firma, di dare alla chiesa cattolica l’8 per mille dell’Irpef che pagano allo Stato. Non è così. Il singolo contribuente non dà niente alla chiesa cattolica. Dice la legge che una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è “destinata, in parte, a scopo di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopo di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica”.

Questa legge, che cozza contro la laicità dello Stato, affida alla chiesa cattolica la gestione di una quota di un’imposta statale. La quota è proporzionata alle scelte espresse: “In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse”.

Con questo meccanismo abbiamo che neanche il 40 per cento dei contribuenti firma la destinazione dell’8 per mille e tuttavia alla chiesa cattolica va più dell’88 per cento della torta.

Di anno in anno diminuisce la quota che va allo Stato.  Ed è comprensibile questa poca fiducia nello Stato.  Si fa di tutto per screditare lo Stato, evidentemente per avvantaggiare la chiesa cattolica.  

Si è passati dal 14,43% delle dichiarazioni del 1997 all’8,65% di tre anni fa.

 

Dice la legge che lo Stato dovrebbe destinare la propria quota “per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione beni culturali”. Invece, non è così.

 

Ad esempio, le cosiddette “missioni di pace” in Albania e nel Kosovo furono finanziate coi soldi dell’8 per mille statale del 1999, 2000 e 2001.

 

La finanziaria 2004 ha scippato per tre anni all’8 per mille statale 80 milioni di euro annui.

 

Nel 2004 lo Stato ha ricevuto circa 100 milioni di euro.

 

Detraendo gli 80 milioni di euro trasferiti al bilancio generale, rimangono 20 milioni di euro. Di questi 20 milioni di euro il 44,64%, cioè quasi la metà, è andato alla conservazione dei beni culturali legati al culto
cattolico.

 

Questa situazione è poco nota, ma sembra fatta apposta per dissuadère i contribuenti laici a firmare per lo Stato. L’uso dell’8 per mille dello Stato a favore delle Confessioni religiose, che già usufruiscono di un loro 8 per mille è irrispettoso nei confronti dei contribuenti che hanno scelto esplicitamente lo Stato al posto, appunto, delle Confessioni religiose.

La quota dell’8 per mille dello Stato viene destinata con decreto del Presidente del consiglio dei ministri.

 

Nel decreto apparso sulla Gazzetta Ufficiale del 26 gennaio 2005 era possibile leggere, ad esempio, queste destinazioni dell’8 per mille statale: Pontificia università Gregoriana di Roma (370 mila euro); curia generalizia Casa di Santa Brigida, Roma (400 mila euro); seminario vescovile di Fiesole (200 mila euro); venerabile confraternita Santa Maria della Purità, Gallipoli, Lecce (300 mila euro); Opera preservazione della fede, Ventimiglia, Imperia (420 mila euro); Opera Pia Casa Regina Coeli, Napoli (40 mila euro); Associazione volontari per il servizio internazionale, Forlì (202.941 euro). L’ Avsi è un’organizzazione non governativa aderente alla Compagnia delle opere, il «braccio economico» di Comunione e liberazione.

Otto per mille, esenzione Ici, otto per cento degli oneri di urbanizzazione secondaria, mantenimento dei funzionari e propagandisti della chiesa cattolica sotto forma di insegnanti di religione, cappellani militari, carcerari, ospedalieri, finanziamento degli oratori, finanziamento della scuola cattolica sono tutti espedienti con i quali lo Stato italiano toglie ad atei, agnostici, indifferenti religiosi, non praticanti, miliardi di euro per
regalarli alla chiesa cattolica.

 

Tutto in base al Concordato o a varie leggi ad ecclesiam.

 

Poi, vi sono migliaia e migliaia di atti amministrativi dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni che danno altri miliardi di euro alla chiesa cattolica.



Il tutto ha la dimensione di una manovra finanziaria 

[Modificato da ReteLibera 22/08/2011 19:11]
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MA “CARA” CHIESA QUANTO CI COSTI?

di Silvio Manzati 
(conferenza tenuta a Venezia il 28 aprile 2011 durante la settimana S.O.S. Laicità, organizzata dal circolo UAAR di Venezia prima della visita di papa Ratzinger)

Quanto ci costa la chiesa cattolica, qui, in Italia. Non quanto costa ai cattolici, ma quanto ci costa, anche a noi che cattolici non siamo. E' un argomento del quale non si parla molto.

Quanto ci costa la chiesa cattolica non è sicuramente un tema politico. E' un tema che neppure sfiora i partiti politici. In questi anni di crisi economica, stato regioni, province e comuni hanno apportato tagli nelle spese dei servizi pubblici, ma di tagli alle spese per la chiesa cattolica neppure l'ombra.

E' significativo quello che è avvenuto in fase di finanziaria 2009, ove in un primo tempo erano previsti da Tremonti tagli anche per le scuole paritarie. Tagli immediatamente ritirati al primo stormir di fronde, dopo le proteste e le minacce di mobilitazione da parte dei vescovi.

L'anno scorso il governo aveva tentato, accanto ai tagli alla scuola pubblica, di ridurre i finanziamenti alla scuola cattolica. Anche allora insurrezione dei vescovi. Com'è andata a finire? Ve lo dico con quanto scriveva Repubblica il 12/11/2010: “Il maxiemendamento alla legge di stabilità per il 2011 (ex legge finanziaria) restituisce agli istituti paritari i 245 milioni tagliati con la prima versione del provvedimento. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, mette così a tacere la polemica derivata dal taglio del 47 per cento (253 milioni) operato alle paritarie qualche settimana fa, che aveva creato più di qualche malumore, soprattutto negli ambienti cattolici”.

Alle volte ci sono annunci che non hanno seguito.

Forse, ricorderete che il 5 febbraio di quest'anno apparve sul Corriere del Veneto un articolo nel quale si diceva che due sarti trevisani, Stefano Zanella e Gianluca Scattolin, titolari della sartoria X Regio, avevano inviato una lettera a Luca Zaia, presidente del Veneto, ed a Leonardo Muraro, presidente dell’Unione delle Province Venete.

Nella lettera c'era la richiesta di “un segno tangibile di vicinanza al Santo Padre” in vista della sua visita pastorale a Venezia.
 
Il segno tangibile sarebbe stato il pagamento di 290.000 euro per casule, mitre, dalmatiche e stole varie che avrebbe indossato Ratzinger, gli 80 vescovi, i mille preti, i 200 diaconi ed i 500 chierichetti durante la messa al parco San Giuliano di Mestre.

Una nota diffusa immediatamente dalla Conferenza episcopale del Triveneto precisava che “La richiesta di fondi citata è un’iniziativa personale di due sarti, non promossa né autorizzata dal Comitato organizzatore ufficiale della visita” e che “ogni iniziativa che si riferisca in qualche modo a questo evento e che non porti la firma del responsabile del Comitato organizzatore, è priva di autorizzazione, fuorviante e non va presa in considerazione”.

Interveniva anche il patriarca Angelo Scola, informando che «in questo momento di crisi i costi vanno contenuti

. Ho chiesto che il preventivo per il palco della messa al parco di San Giuliano, a Mestre, sia dimezzato rispetto all'ipotesi iniziale di 800 mila euro.
 
Inoltre non acquisteremo paramenti e mitre nuove, ma recupereremo quelli già in uso dai vescovi e metteremo a disposizione quelli del tesoro di San Marco». «Non chiederemo alcun contributo alle istituzioni pubbliche - ha spiegato Scola - Ci affidiamo alla generosità dei fedeli e all'eventuale sostegno che arriverà dagli sponsor privati». La colletta del patriarcato di Venezia ha prodotto 80.000 euro. Le altre diocesi non hanno fornito dati.

Agli enti pubblici i vescovi chiedono gli interventi che ci sono in occasione di eventi sportivi o culturali.

C'è una differenza, però.

Quando ci sono eventi sportivi o culturali o di altra natura, come il raduno degli alpini, a decidere i provvedimenti di viabilità o di ordine pubblico sono gli enti pubblici in base alle proprie valutazioni di opportunità.

Quando si muove il Papa c'è una commissione episcopale che va a contrattare o, meglio, ad imporre gli interventi: le strade da riasfaltare, i chilometri di transenne da predisporre, il numero di gabinetti chimici da installare, ecc. Lo abbiamo visto quando Ratzinger è venuto a Verona o a Lorenzago. In Regione si ricorda ancora lo stanziamento di 345 mila euro per rimettere a nuovo Lorenzago in vista delle tradizionali vacanze estive del Pontefice quattro anni fa.

Notizie di stampa hanno rivelato che la visita di Ratzinger costerà al comune di Venezia 380.000 euro.

GRANDI EVENTI

Ad Ancona si terrà il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale dal 4 all’11 settembre 2011. Su sollecitazione dell’arcivescovo è stata avviata un’azione di lobbying nei confronti del governo.

Così, parlamentari, sindaci della provincia di Ancona, presidente della provincia e della regione hanno chiesto al presidente del Consiglio di voler rendere disponibile con la massima possibile sollecitudine una somma almeno analoga a quella stanziata per la precedente edizione di Bari che potrebbe essere assegnata alla Regione Marche che provvederebbe poi a gestirla in forma condivisa.

La somma per il congresso eucaristico di Bari era stata di 3.651.315,21 euro.

Quando uno sente parlare di protezione civile, pensa a terremoti, alluvioni ed altre catastrofi. Invece la protezione civile è intervenuta più volte, anche con grosse somme, in occasione di spettacoli religiosi cattolici, quasi si trattasse di eventi emergenziali.

Per la cerimonia di canonizzazione del Beato Padre Pio da Pietrelcina, avvenuta a Roma il 15 giugno 2002, la protezione civile spese 3.231.544,06 euro. Avete capito bene: virgola zero sei.

Il 19 ottobre sempre del 2002 per la cerimonia di canonizzazione del Beato Josemaria Escrivà, fondatore dell'Opus Dei, la protezione civile spese 962.800,88 euro.

Un anno dopo, il 19 ottobre 2003, ci fu la cerimonia di beatificazione di Madre Teresa di Calcutta e la Protezione civile spese 500.184,92 euro.

Le tre canonizzazioni appena dette avvennero a Roma, nel territorio dello stato Città del Vaticano. Nel territorio italiano si trova, invece, Loreto dove, dall'1 al 5 settembre 2004, fu organizzato un incontro nazionale dell'Azione Cattolica Italiana, che costò alla protezione civile 3.257.574,16 euro.

La botta più grossa furono le esequie di Papa Giovanni Paolo II e intronizzazione di Benedetto XVI, ancora in territorio vaticano, nell'aprile del 2005. Per questi due eventi la protezione civile spese 22.369.219,06 euro.

Per il XXIV Congresso Eucaristico Nazionale che si svolse a Bari il 21-29 maggio 2005, la protezione civile denuncia d'aver speso 3.651.315,21 euro, come ho prima detto

La protezione civile è riuscita a spendere soldi anche per un evento svoltosi in Germania: 16.800,00 euro per la XX Giornata Mondiale della Gioventù avvenuta a Colonia nell'agosto 2005.

Per l'incontro tra Ratzinger e gli aderenti ai movimenti ed alle comunità ecclesiali avvenuto a Roma 3 giugno 2006, la protezione civile denuncia d'aver speso 500.000,00 euro.

Soltanto, si fa per dire, 50.000 euro per la visita di Ratzinger ad Assisi il 17 giugno 2007.

Le spese della protezione civile risalgono a 2.460.344,55 per l'Agorà dei giovani italiani a Loreto, dove c'è la casa che vola, l'1 e 2 settembre 2007.

Le spese sopportate dalla protezione civile per la visita di Ratzinger a Genova e a Savona il 17-16 maggio 2008 furono 250.000 euro.

Per la tappa di Savona ci fu un costo ulteriore di circa un milione di euro: 400 mila a carico del comune, altri 170 mila a carico della provincia, la diocesi ebbe alcune centinaia di migliaia di euro di contributi da parte di Autorità portuale, Unione industriali, Fondazione Carisa e istituti di credito vari che operano sul territorio cittadino. Altri 800 mila euro costò la tappa di Genova.

Ancora 250.000 euro stanziati dalla protezione civile per la visita del Pontefice a Brindisi e S.M. Di Leuca il 15 giugno 2008. Con una legge regionale votata all'unanimità il 26 febbraio 2008 la Regione Puglia stanziava un milione di euro per la visita di Ratzinger.

Una settimana prima della visita (il 7 giugno) a Leuca c'è stata una seduta straordinaria del consiglio provinciale “per discutere dell’importante significato della visita di Papa Ratzinger per la nostra terra”.

Agli oneri per la visita pastorale di Papa Benedetto XVI a Cagliari il 7 settembre 2008 a chiusura dei festeggiamenti per il centenario della proclamazione della Madonna di Bonaria a Patrona Massima della Sardegna si è provveduto con stanziamento di 100.000 euro a carico del fondo della Protezione civile.

Inoltre la giunta regionale ha stanziato un milione di euro “per consentire l’organizzazione di manifestazioni ed eventi che garantiscano la migliore accoglienza al Pontefice”.

La somma è stata affidata alla Curia Arcivescovile della Diocesi di Cagliari.

L’arcivescovo di Cagliari ha tuttavia segnalato alla giunta “la necessità di un ulteriore sostegno finanziario a favore della Diocesi di Cagliari” per la “realizzazione delle strutture dei palchi che ospiteranno le celebrazioni e la dotazione di strutture e attrezzature atte a garantire una idonea sistemazione logistica dei fedeli dei quali si prevede un’affluenza molto numerosa”.

La giunta regionale, condividendo quanto rappresentato e proposto dall'allora presidente Renato Soru, 
ha deliberato di affidare al Comitato “Il Papa in Sardegna” la somma di ulteriori 400.000 euro.

Per la visita di Ratzinger a Palermo del 3 ottobre scorso non ci risultano spese della protezione civile, però il costo di circa due milioni e mezzo di euro è stato in gran parte a carico della Regione e, a seguire, della Provincia e del Comune.

Per il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona-Osimo del prossimo settembre la protezione civile ha stanziato finora 200.000 euro.

Sul sito della protezione civile non risulta nessuna somma per la prossima visita ad Aquileia e Venezia.

Complessivamente, le spese sostenute dalla protezione civile per tutti gli spettacoli religiosi che vi ho elencato sono state 37.799.782,84 euro.

38 milioni di euro non sono pochi. La Fenice di Venezia o l'Arena di Verona con qualche milione in più tirerebbero un sospiro di sollievo, garantendo lo spettacolo non per un solo giorno ma per tutto l'anno.

Finora ho parlato di soldi che non vanno direttamente alla chiesa cattolica, anche se sono spese sostenute per eventi della chiesa cattolica.



[Modificato da ReteLibera 22/08/2011 20:15]
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UNIONE EUROPEA 

Poiché l'Italia non ha fornito spiegazioni soddisfacenti, il commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia ha avviata a metà ottobre 2010 la procedura di infrazione che avrà un’istruttoria di 18 mesi dopo la quale ci sarà una sentenza. La conseguenza potrebbe essere un'ulteriore multa a carico dell'Italia. 


Ma nell'agosto del 2010 viene approvata la bozza del decreto sul federalismo fiscale. In un articolo su Repubblica del 19/10/2010, Alberto D'Argenio scriveva: “Pressato dalle esigenze di bilancio per lanciare il federalismo e dalla procedura per aiuti di Stato della Commissione Ue, il governo si appresta a cancellare parte delle esenzioni fiscali concesse alla Chiesa.

La porzione più corposa, ovvero quella che ogni anno permette agli enti ecclesiastici di non pagare l'Ici per circa un miliardo di euro.

Per intenderci: dal 2014 ospedali, scuole, alberghi e circoli della Chiesa dovranno operare in regime di concorrenza versando le stesse tasse imposte agli altri imprenditori privati.

Il taglio ai privilegi - introdotti dallo stesso governo Berlusconi nel dicembre 2005 in vista delle elezioni della primavera successiva - è contenuto in un oscuro comma infilato nel decreto sul federalismo fiscale municipale approvato dal governo lo scorso 4 agosto e mai pubblicizzato”.
 

Sui giornali apparvero altri articoli sulla fine dell'esenzione a favore della chiesa cattolica. In questo modo sarebbe venuta meno parte della procedura avviata ad ottobre 2010 dalla UE per gli aiuti illegittimi alla chiesa cattolica, ed inizialmente contestata dal governo.

Lo stato italiano dovrebbe anche recuperare subito una parte dei soldi non versati dagli enti che sono oggi registrati al fisco, metà dei quali derivano proprio dai mancati pagamenti dell'Ici.

Per tutti i fabbricati della chiesa cattolica non registrati, possibilità concessa dall’attuale esenzione Ici, scatterebbe l’obbligo di registrazione per il pagamento dell’IMU (imposta municipale unica), con maggiori possibilità concesse ai comuni per scovarli rispetto a quanto concesso dall’attuale legislazione.
 

La chiesa cattolica ha reagito e in gennaio di quest'anno è apparsa in internet la notizia di un colpo a sorpresa del ministro Roberto Calderoli nel testo finale sul federalismo municipale. L'Imu, imposta unica sugli immobili, che scatterà dal 2014, la dovranno pagare tutti, meno la chiesa cattolica.

Nel testo iniziale non si parlava di nessuna esenzione.

E' interessante notare come in pieno scandalo che colpisce il presidente Berlusconi, il testo del federalismo fiscale sia cambiato in favore del
Vaticano, probabilmente per ammorbidire la posizione dei vescovi. 

Il Messaggero 16/4/2011 scriveva:Niente Imu non solo sugli immobili sede di culto e di proprietà della Santa Sede, ma anche per ospedali e cliniche legate alla Chiesa, scuole private, alberghi del mondo cattolico e oratori.

L'ultima versione del testo mantiene anche per la nuova imposta comunale, che scatterà dal 2014, le esenzioni già previste dall'Ici.

Nella precedente bozza l'esenzione per gli immobili «non di culto» non era prevista e lo scorso ottobre Bruxelles aveva avviato una indagine su questo tipo di esenzione applicate per ora sull'Ici”.
 


IRES
 

La procedura d'infrazione avviata dall'UE riguarda anche l'IRES.

L'Ires è l'imposta sul reddito delle società che dal 2004 ha sostituito l'Irpeg.

E colpisce il reddito non soltanto delle società ma anche di altri enti che svolgono un'attività commerciale.

Gli enti della chiesa cattolica che operano nella sanità, nell’istruzione e nell'attività ricettiva pagano il 50% dell'IRES, a differenza delle società e degli enti che non dipendono dalla chiesa cattolica i quali pagano l'aliquota intera del 27,5%.

L’Unione Europea ha aperto a questo proposito una procedura di infrazione contro l’Italia ritenendo tutto questo un indebito aiuto di stato, quindi sostanzialmente pratiche anticoncorrenziali.

Conventi, palazzi e condomini sono diventati sedi di cliniche, scuole e soprattutto alberghi.

Se l’attività è svolta da enti di assistenza e beneficenza l'Ires scende del 50% (esenzione totale se il reddito è generato da un immobile di proprietà diretta del Vaticano).

Un bel vantaggio per chi opera nel turismo. E anche in questo caso Roma si è trasformata nell’epicentro di un impero: il turismo religioso genera un fatturato di 5 miliardi l’anno con 40 milioni di presenze.

In tutta Italia preti e suore gestiscono 250 mila posti letto.



Cosa ne pensa a proposito di turismo quella maialona di una brambillona ?
Avrà dormito a gratis sui 250 mila posti letto ?
Dubito l'abbia data pure a gratis !!!

Chissà cosa dicono di noi all'estero.... forse basta immaginarlo:

Ma tu vedi questi idioti di Italiani da chi si son fatti rappresentare ...Tanto contano (i loro voti) e tanto valgono.

[Modificato da ReteLibera 22/08/2011 20:34]
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ATTUALITÀ    CHI€SA    DISCRIMINAZIONI   

“Non negoziabile” per chi?

di Carlo Cosmelli

[24 ott 2011]

Dal Convegno cattolico di Todi, che si è concluso il 20 ottobre scorso con le osservazioni e la benedizione di Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sono uscite una serie di indicazioni preziose.

Il mondo dei movimenti cattolici e la Chiesa  ci informano che i politici cattolici indagati per furto, prostituzione minorile, corruzione, collusione con la mafia, corruzione in atti giudiziari, evasione fiscale, vendita ed acquisto di voti elettorali, concussione, e noti per una serie di altri comportamenti non  illegali, ma sicuramente incoerenti per chi si dichiara cattolico (rapporti con prostitute, dichiarazioni false, bestemmie continuate…) non rappresentano più quell’esempio preclaro di “politico credente” che propagandavano fino a qualche mese fa.

Strano, non ci eravamo proprio accorti della deriva etica e morale di chi ci sta governando da circa un decennio. Ma, si sa, la Chiesa ha l’occhio lungo, e vede sempre con grande anticipo la realtà che ci circonda. E’ per questo che, checché ne dicessero gli organizzatori del Convegno, non si trattava di un congedo da Berlusconi, bensì della ricerca di qualche uomo nuovo che incarnasse gli ideali politici e religiosi “non negoziabili” (aborto, fine vita, riconoscimento delle coppie omosex, fecondazione in vitro…). Ed è pure ovvio che uno dei primi a farsi avanti sia stato il segretario del Pd Pierluigi Bersani, che ha avuto un fruttuoso incontro pubblico con Rino Fisichella proprio sui cosiddetti valori “non negoziabili”.

Fisichella, novello Ghedini, invoca il «diritto radicato nella stessa legge di natura, a cui una “laicità creativa” deve sapersi ancorare».

Astuta mossa  riferirsi alla legge di natura, solo che tale argomentazione era già stata delineata come fallace da D. Hume nel terzo volume del Trattato sulla vita umana (1740), in cui si considerava fallace il salto logico fra proposizioni indicanti  fatti (ciò che è), e proposizioni indicanti valori (ciò che dovrebbe essere). Da cui la falsa affermazione che ciò che è “naturale”, sia anche ciò che è “morale”.

La natura non può avere la pretesa di dirci cosa dobbiamo o non dobbiamo fare.

Giochi di cui alcune persone sono esperte, bloccando qualunque discussione con la citazione di regole date per vere.

E qua cade il caro Bersani che, nell’apprezzato tentativo di difendere il primato della politica, afferma: «Non tocca alla politica far negozio né della fede, né dei valori, né della gerarchia dei valori»; missione della politica è «negoziare soluzioni condivise per la convivenza».

Ennò caro Bersani, non si negoziano i principi “non negoziabili”, cioè i principi di libertà sanciti molto chiaramente dalla nostra Costituzione.

La libertà è il punto non negoziabile di qualunque società, e non può essere confusa con una falsa “libertà religiosa”.

E’ stato già detto con altre parole, qualche anno fa: «Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana; di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme. Nell’esercizio di ogni libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità. Inoltre, poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma secondo norme giuridiche […]. Per il resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando e in quanto è necessario.» (Dignitatis Humanae – 7.12.1965 – Concilio Vaticano II).

La libertà delle azioni e delle credenze del singolo non possono e non devono diventare obblighi nei confronti di altri cittadini, altrimenti si ritorna all’epoca del Concilio di Costantinopoli (391) che con Teodosio portò a trasformare la dissidenza religiosa in crimen publicum. 

Una delle tante conseguenze fu l’uccisione di Ipazia di Alessandria, nel 415, colpevole di essere una filosofa neoplatonica, non credente.

Sappiamo che oggi  il massimo desiderio della Curia romana, per voce di persone come Paola Binetti, Eugenia Roccella &C, sia di trasformare il peccato in reato, ma questo non è accettabile per uno stato libero.


Se proprio si vogliono prendere alcuni principi universali come riferimento, si può leggere la 
Dichiarazione Universale dei Diritti per l’Uomo, adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, in particolare l’ultimo articolo: 

 «Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo o persona, di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati». 

La Dichiarazione non è stata sottoscritta dalla Chiesa. Come mai?

Carlo Cosmelli
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Per Santa Romana Chiesa il privilegio ICI continua alla faccia degli italiani

E’ di circa 50 mila il numero degli immobili ecclesiastici presenti in tutta Italia.
Di questi almeno 30mila sono adibiti ad attività imprenditoriali.
Già nel 2005 la Cassazione stabilì che l’esenzione dall’Ici poteva essere applicata solo quando all’interno dell’immobile si svolgesse un’attività meritoria e legata al culto

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/05/manovra-lacrime-sangue-monti-dimentica-chiesa-niente-sugli-immobili-vaticano/175334/

L’ICI, che poi si chiamerà IMU, la dovranno pagare tutti.
E la rivalutazione delle rendite catastali fino al 60% la renderà forse la tassa più pesante che gli italiani saranno chiamati a pagare nell’immediato.
Santa Romana Chiesa, ancora una volta, resta fuori dal novero dei contribuenti dello Stato pur continuando a percepire l’8 per mille.

Amici mentre Mario Monti, a tutti gli Italiani,(laici, cattolici, credenti, miscredenti, atei, agnostici, bigotti o integralisti) sta chiedendo sacrifici e sangue, a Santa Romana Chiesa, il nuovo governo tecnico, mantiene il VERGOGNOSO privilegio dell’esenzione della tassa IMU!
Perché ? ? ? Prof. Mario Monti, ci spiega perché ???

Pregare corrisponde a lavorare e notoriamente il Clero lavora solo in NERO!
Santa Romana Chiesa, coerentemente continuerà dunque, come ha sempre fatto, ad EVADERE allo Stato Italiano la tassa sugli immobili!

Questa VERGOGNA ancora una volta sta passando nella assoluta INDIFFERENZA delle ISTITUZIONI LAICHE perché in Italia è il Vaticano e Benedetto XVI che governano, alla faccia di qualsiasi Mario Monti di turno !!!

IL nostro Paese è da SECOLI preda e vittima di una Santa Romana Chiesa che predica la carità, l’eguaglianza e la tolleranza ma che si dimostra invece AVARA, ASSOLUTISTA, CLASSISTA DISCRIMINANTE, INTEGRALISTA e legittimamente EVASORE FISCALE!

Perché in Santa Romana Chiesa, nessun Papa ha mai preso il nome di Francesco ??? Anche i Papi si vergognano di se stessi ???

Santa Romana Chiesa in Europa, è veramente una vergogna solo Italiana !!!

Mario Monti provveda a rendere l’IMU obbligatoria anche per Santa Romana Chiesa, o la smetta di affermare che questa manovra è equa e solidale!
Santa Romana Chiesa, è uno tra gli Stati più ricchi ed agiati del pianeta !!!

Santa Romana Chiesa si VERGOGNI ! Benedetto XVI si Vergogni !
Anche Dio si vergognerebbe di questa Santa Romana Chiesa !

Amici vogliamo riderci sopra !!!???

Amici qui, da ridere,…. non c’è più nulla !!!

Fonte: Reset Italia

 



Tratto da: Per Santa Romana Chiesa il privilegio ICI continua alla faccia degli italiani | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2011/12/07/per-santa-romana-chiesa-il-privilegio-ici-continua-alla-faccia-degli-italiani/#ixzz1fqpAK4xJ 
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 
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